Economia

Lo spettro della patrimoniale a sinistra: redistribuzione o stallo economico?

di Luigi Trisolino*

Chi ha vari immobili, non utilizzati né utilizzabili, non è scontato che da essi tragga un beneficio economico o che abbia le possibilità di investirci sopra

La sinistra spinge per una patrimoniale: redistribuzione o stallo economico?

Una parte dalle opposizioni fa vagare uno spettro, negli angoli più a sinistra delle aule parlamentari. Nulla di nuovo: è lo spettro dell'imposta patrimoniale. Caratteristica di questo spettro è l'ossessione per la redistribuzione della ricchezza, in modo automatista e spersonalizzante, senza stimolare la creazione di nuova ricchezza. Quest'ultima si genera attraverso il lavoro, nonché attraverso l'intraprendenza dei cittadini nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Il senatore di Alleanza Verdi e Sinistra  Peppe De Cristofaro nella sua critica al taglio del reddito di cittadinanza e ai troppi sussidi, taglio voluto dal governo Meloni per incrementare l'economia in un'ottica più liberale, ha sostenuto che "La destra è alla disperata ricerca di soldi per la prossima manovra e per trovare le risorse necessarie per confermare almeno la riduzione del cuneo fiscale per il prossimo anno". Ha inoltro aggiunto che "Le risorse nei momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo, vanno prese dove ci sono. Vanno approvate delle norme che tassino gli enormi extra profitti fatti da alcuni settori e va sicuramente approvata una patrimoniale sui grandi patrimoni".

Se persino Marx nella sua opera più "liberale" intitolata 'Critica al Programma di Gotha' aveva criticato gli epigoni dell'egualitarismo che con troppa semplicità ripetevano che siamo tutti uguali per pretendere un rozzo allivellamento economico, la coscienza storica nonché politica attuale ci porta, in uno Stato liberaldemocratico, a dubitare della ragionevolezza delle critiche di quella parte più radicale delle sinistre italiane.

Secondo le piccole bibbie assistenzialiste della sinistra più ideologica, presente tra le odierne opposizioni, sarebbe giusta e lecita una cultura secondo cui chi ha qualche immobile sparso per le città e le campagne deve essere considerato ricco a priori davanti al fisco. Più che una cultura questo è un culto, semplicistico, e per di più realisticamente deforme. Sugli apriorismi di questo dannoso automatismo il principio della progressività delle imposte piange la sua effettività: soprattutto se, sulle frontiere neorepubblicane del neocostituzionalismo, vogliamo garantire un'esistenza libera e dignitosa a individui e famiglie, secondo un pragmatico principio di realtà che non dimentichi le libertà.

Chi ha vari immobili, non utilizzati né utilizzabili, non è scontato che da essi tragga un beneficio economico o che abbia le possibilità di investirci sopra, o che riesca a venderli facilmente per liberarsene. È di tutta evidenza invece che chi ha vari immobili paghi già una bella somma al fisco, anche senza essere un ricco professionista o un facoltoso imprenditore.

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L’uscita dal Novecento ci ha insegnato ad essere politicamente pragmatici e trasversali nelle idee, senza diventare macroeconomicamente miopi. Le anime politiche che in questi anni sono a favore di una imposta patrimoniale dura-e-pura, però, più che pragmaticamente impegnate nel contrasto delle nuove povertà si riallacciano alle ideologie statolatriche del secolo scorso. Il discorso di politica tributaria sulla patrimoniale non può essere affrontato senza guardare in faccia il vero volto eterogeneo delle tante famiglie italiane. Rischieremmo altrimenti di decantare il pluralismo soltanto per alcuni diritti civili di categoria, senza considerare opportunamente l’altro volto dei diritti civili, ossia quello economico, quello di chi prova a campare e far campare investendo, resistendo sul fragile e martoriato mercato, disponendo semplicemente di un buon asse patrimoniale, magari prevalentemente immobiliare.

Nel Sud del Paese, ma non solo, il fatto di avere diversi immobili non è sinonimo di ricchezza senza se e senza ma, e ciò è dimostrabile anche a fronte del ben chiaro processo di mobilizzazione delle ricchezze negli ultimi sessant’anni. Chi detiene un patrimonio immobiliare effettivamente spento e non convogliabile nelle dinamiche delle compravendite immobiliari o dei traffici giuridici, per come questi si presentano periodo per periodo, ha un patrimonio che gli porta soltanto pesi fiscali, a cui non sarebbe opportuno aggiungerne automaticamente altri.

Da un lato si pretende di risollevare il Paese, dall’altro si priva di respiro chi dovrebbe investire per risollevarlo. I diritti sociali non possono stare senza i diritti civili, e viceversa, ma quando si parla di diritti civili occorre riferirsi anche alla sfera delle libertà economiche nonché patrimoniali di individui e famiglie. L’eguaglianza nelle opportunità tra persone che partono da poteri di acquisto originariamente differenti non può realizzarsi senza considerare il concreto volto delle ricchezze, per come è strutturato il capitalismo della nostra post-contemporaneità nel suo complesso divenire storico e dialettico.
L’automatismo con la sua aprioristica ascia impositiva statolatrizza il principio costituzionale della progressività delle imposte, che in uno Stato neo-personologico non può essere figlio d'ideologie d’etichetta illiberale o illibertaria. La progressività delle imposte nell’ingegneria costituzionale è da considerare quale valore che conferma la cura dello Stato verso le persone concrete, e non la cura verso astratte categorie di ricchi e poveri, categorie che il Novecento ha consegnato al nuovo millennio in corso come fluidificate, al netto di qualunque semplicismo.

La politica ha il compito di promuovere il più urgente di tutti i pluralismi: quello di una cultura lavorativa fatta di individui “self made men” e “self made women”, plurimi e diversi, che in modo complementare rendano viva la vita sociale ed economica dell'Italia. Negli ultimi, precedenti tempi la prospettiva diffusa era purtroppo quella di una via politica in cui si procedeva ad occhi chiusi, tra assistenzialismi anacronistici e ricette economiche che hanno drogato il mercato. Dobbiamo provare a cambiare per il meglio, partendo anzitutto dalla psicologia socioeconomica dei cittadini: dobbiamo provare a promuovere il valore del maggior benessere, senza pauperismi e senza decrescite infelici. Senza stanche e troppo severe ideologie fallimentari.

*Giornalista, Specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, dottore di ricerca in "Discipline giuridiche storico-filosofiche internazionali", avvocato, scrittore, poeta