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Economia
Caro Mario Draghi, non esistono debiti buoni e debiti cattivi

Mario Draghi, nel panorama, è un‘eccezione. Non solo è universalmente stimato in Italia, ma è anche noto e stimato all’estero. Ricordo un importante economista francese, intervistato dalla televisione del suo Paese, che lo definitiva molto competente e furbissimo, “brillantissime”, diceva anzi per ridere. cioè capace di circuire anche coloro che si credono più scaltri. Comunque, Draghi è veramente qualcuno. Stamani una rassegna stampa, per dimostrarne la grandezza, sosteneva che sono indimenticabili coloro che creano nuove parole, e Draghi fa parte di questa schiera con due espressioni: “Whatever it takes”, di quasi dieci anni fa, ed ora distinguendo “debito buono” e “debito cattivo”.

Senza nulla togliere ai meriti sostanziali di Draghi, dinanzi alle sue creazioni linguistiche si può rimanere dubbiosi. “Whatever it takes” dimostra coraggio e un intento bellicoso che, infatti, quasi dieci anni fa indusse le Borse a più miti consigli. Ma se traduciamo l’espressione inglese abbiamo, letteralmente, “qualunque cosa esso comporti” e, nell’“idiom” italiano corrispondente, “a qualunque costo”. Se mi è permessa una nota, intanto chiunque usi quell’espressione si dimostrerebbe coraggioso, in quanto fosse sottinteso che quel costo eventualmente lo pagherà lui. Perché se la frase corrispondesse a: “Per quanto possa costare caro a mio zio” da un lato il parlante non sarebbe poi tanto coraggioso, e dall’altro bisognerebbe vedere che cosa ne pensa lo zio. Nella specie, tutto ciò che intendeva Draghi era che l’Italia avrebbe fatto, se necessario, enormi debiti aiutata in questo dalla Banca Centrale Europea. E che potesse non essere una buona idea, lo ha recentemente sostenuto la Corte Costituzionale Tedesca di Karlsruhe.

E così veniamo ai debiti. I debiti ovviamente cattivi sono quelli contratti per pure spese di consumo. Se insegno storia e filosofia in un liceo, e contraggo un debito per comprare un SUV da settantamila euro, la spesa corrisponde ad un mio capriccio e non è affatto economicamente valida. Il mio prodotto è la cultura dei miei studenti, e questa dipende da ciò che dico sulla cattedra, non dal veicolo che ho lasciato in cortile. Se invece un imprenditore decide di lanciare una nuova linea di produzione, e richiede un milione di mutuo alla banca, nella speranza, poi realizzata, di realizzare 1.200.000€, tanto da poter rimborsare il debito e per giunta ottenere un utile, ecco il “debito buono”.

Dunque, dice Draghi, è inutile indebitare l’Italia per distribuire sussidi a pioggia in occasione del Covid-19. Perché se questo denaro viene speso per consumi o, ancor peggio, tesaurizzato, si tratta di un debito cattivo. Se invece lo Stato utilizzasse quel denaro preso a prestito per grandi investimenti produttivi (come nel caso dell’imprenditore) quello sarebbe un debito buono. Ed è quello che il governo dovrebbe fare. Applausi a scena aperta.

Io rimango a braccia conserte. Non nego il quadro teorico, e non nego che, astrattamente, lo Stato potrebbe contrarre debiti buoni per rilanciare l’economia. Ma partendo dalla pratica, mentre di “debito cattivo” ne ho visto a iosa - e infatti l’Italia deve duemilacinquecento miliardi di euro - di debito buono non ne ricordo molto. Al punto che, anche se qualcuno mi dicesse: “Ma nel tal caso l’Italia, intervenendo nell’economia, fece un affare”, non cambierei opinione. Una rondine non fa primavera e la regola costante è che lo Stato è un cattivo amministratore e un pessimo imprenditore. Al punto che, diversamente da Draghi, nel caso dello Stato distinguerei “il debito normalmente cattivo” e “il debito miracoloso”, quando cioè riesce utile all’economia del Paese. Ma io non credo ai miracoli.

Del resto, basterebbe chiedere allo stesso Draghi se la montagna di debiti che l’Italia ha contratto da quando rischiava di fallire e lui ha proclamato il suo “Whatever it takes”, ha aiutato il Paese a ripartire, addirittura cominciando a rimborsare il debito. Come sempre, il debito pubblico è enormemente aumentato e il rilancio non si è avuto. Keynes può dire quello che vuole (e spesso gli fanno dire ciò che non ha detto) ma anche se la sua teoria fosse giusta, non è giusta in Italia, se deve applicarla lo Stato italiano.

Ecco perché “Timeo Danaos et dona ferentis”, ho paura dell’intervento dello Stato anche quando propone di fare dei regali. Perché i regali li fa a spese dei contribuenti, il debito si avvia a dimensioni galattiche, e l’azione del governo somiglia sempre più a quella di pompieri che, per spegnere gli incendi, usassero autobotti piene di benzina.

Niente “debiti buoni” e “debiti cattivi”, ma soltanto debiti o non debiti.

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