

Mentre la vicenda derivati-Mps tiene ancora banco nell'arena politica, iniziano a fioccare le ricostruzioni dei dietrologi sulla vicenda che ha portato Rocca Salimbeni a bussare alla porta del Tesoro per ottenere 3,9 miliardi di Monti-bond e Giuseppe Mussari ad essere prima riconfermato lo scorso anno alla guida dell'Abi e a rassegnare le dimissioni poi, dopo neanche sei mesi di mandato per lo scoppio del bubbone dei derivati in piazza del Campo.
"Siamo sicuri che i grandi banchieri italiani, quelli cioè che tengono in mano le redini del sistema, i power-broker come Giovanni Bazoli, per dirla alla Carlo De Benedetti, non sapessero nulla delle condizioni di salute finanziaria del Monte?", si sono chiesti in molti oggi nella City milanese. E poi ancora. "Passi per l'operazione Alexandria della cui chiusura Mps ha dato notizia solamente nell'ultima trimestrale del 2012 in cui Anna Maria Tarantola aveva già fatto le valigie per la presidenza della Rai, ma è possibile che l'allora responsabile della vigilanza, così puntigliosa da un parte nel fare le pulci allo statuto in fieri della Bpm, denunciando lo strapotere della potente associazione sindacale Amici della Bpm in Piazza Meda, non guardasse meglio, dall'altra, nel bilancio Mps. Documento contabile in cui già a giugno 2009 c'era traccia della chiusura della spericolata operazione Santorini?", è stata l'altra domanda ricorrente.

Difficile dare delle risposte precise a questi interrogativi, mentre a Roma va in scena lo scaricabile sulla vicenda fra il presidente del Consiglio Mario Monti, il ministro dell'Economia Vittorio Grilli e BankItalia, questione in cui il ministro dell'Economia non ha lesinato stoccate a Via Nazionale (forse, maligna qualcuno, per vendicarsi di quell'endorsement fatto lo scorso anno dai vertici della banca centrale per una successione interna a Mario Draghi in partenza per la Bce, poltrona per cui Grilli era candidato). Fatto sta che quel "non poteva non sapere" di Grilli, pronunciato riferendosi all'attività di vigilanza di Palazzo Koch, fa pensare a molti, sono alcune delle ricostruzioni circolate oggi, che neanche la riconferma di Giuseppe Mussari all'Abi grazie all'appoggio del duo Giovanni Bazoli-Alessandro Profumo, con il contemporaneo sbarco dell'ex UniCredit a Palazzo Sansedoni, siano due eventi completamente slegati.
Una regia, insomma, dei power broker del sistema bancario italiano (sicuramente ispirata dalla nobile ragion di Stato di assicurare la tenuta dell'intero sistema) per "gestire tutta in casa" senza scossoni la grana derivati di Siena, mettendo all'opera le super-skill da risanatori di Profumo e Viola. Il tutto mentre Mussari supervisionava a Palazzo del Gesù.

Un'altra cosa che non è passata inosservata negli ambienti finanziari è che nei cinque anni di gestione (dal 2006 al 2011) del duo Giuseppe Mussari-Antonio Vigni (direttore generale con deleghe operative, il secondo), la coppia di banchieri si è portata a casa in tutto 17,65 milioni di euro. Spulciando i bilanci del Montepaschi, emerge infatti che Mussari, che ha rinunciato alla parte variabile (faceva tutto Vigni) e aveva solo 712.500 euro l'anno di compenso fisso, ha guadagnato in tutto 4.3 milioni di euro. Il suo braccio destro (che al contrario ha intascato almeno una parte dei bonus e ha guadagnato anche 4 milioni di buonuscita per far spazio a Viola), ha raccimolato 13.35 milioni di euro fra parte fissa, variabile e buonuscita.
C'è da dire poi che, mentre per Vigni i conti sono completi fino all'aprile del 2012, momento in cui c'è stato il passaggio del testimone con Profumo e Viola, per Mussari, invece, mancano i conteggi finali sulla buonuscita e su altri premi. Voci di cui la banca darà evidenza con il prossimo bilancio che sarà comunicato al mercato in primavera. Comunque, si tratta di quasi 18 milioni in due, un conto saldato da Siena che non sono nulla rispetto ai 40 milioni di buonuscita che il solo Profumo, per esempio, si è portato via al termine della sua esperienza professionale in UniCredit o ai 30 che Matteo Arpe ha scucito a Capitalia per rompere il suo rapporto di lavoro con l'istituto romano. C'è da dire, però, che mentre Mussari e Vigni hanno tenuto le redini della banca più antica del mondo, il titolo si è deprezzato dai 3,575 del 21 maggio 2007 ai 25 centesimi del 30 dicembre 2011 e il gruppo toscano ha bruciato diversi miliardi di capitalizzazione, bussando anche per ben due volte alla porta dei soci per gli aumenti di capitale.