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Economia
Sanatoria fiscale per contanti e lingotti d'oro per il rientro capitali legali
Sanatoria fiscale per contanti e lingotti d'oro le idee per fare cassa post virus

Coronavirus, sanatoria fiscale per contanti e lingotti d'oro per il rientro capitali legali

Come è noto, l’attuale congiuntura nazionale è caratterizzata da una pesante e urgente richiesta di intervento economico dello Stato a sostegno dei cittadini e delle imprese, condizionato anche dall’esito di complesse trattative con le istituzioni europee e reso più gravoso a causa dei numerosi provvedimenti che sospendono il pagamento delle imposte e del calo del gettito derivante dalla crisi in atto. Tuttavia, in contrapposizione ai fattori di criticità che incidono sul fabbisogno finanziario pubblico, risultano permanere elevate masse di disponibilità di contanti non dichiarate alle autorità fiscali da parte di imprese e privati che, in base alle ultime stime circolate, sono state valutate circa 50 miliardi di euro: disponibilità “ferme”, custodite per la maggior parte in cassette di sicurezza all’estero o in Italia.

Più difficile la stima delle consistenze di lingotti d’oro, la cui detenzione è ignota al Fisco, ma verosimilmente i relativi valori potrebbero essere pari o forse anche superiori a quelli del contante. Tali considerazioni ci inducono, visto anche il clima parlamentare bipartisan sensibile alle sanatorie,  a valutare l’ipotesi di un nuovo provvedimento normativo di emersione delle disponibilità di denaro contante e di lingotti d’oro, riprendendo in parte il precedente testo normativo introdotto dal Decreto-legge n. 193/2016 (la cosiddetta Voluntary-bis del 2017), che non incontrò il favore dei soggetti interessati, per l’elevato costo di regolarizzazione. Infatti, il costo di emersione del contante previsto dalla Voluntary-bis, che normalmente si aggirava intorno al 50 per cento, era determinato dalla piena tassazione delle somme regolarizzate, con applicazione di sanzioni ridotte e interessi, in base ad una doppia presunzione legale che prevedeva: a) che tali somme si erano originate da redditi non dichiarati, b) che i redditi non dichiarati erano stati prodotti in cinque quote costanti, in altrettante annualità ancora accertabili.

L’annoso problema della regolarizzazione del contante, che per sua natura non è tracciabile, nasce dall’impossibilità, dal lato delle autorità fiscali, di dimostrare che tali disponibilità si siano formate in annualità ancora accertabili e, dal lato del loro detentore, di dimostrare il contrario: questa peculiarità, a fronte di un costo di regolarizzazione indifferenziato, causa necessariamente sperequazioni nelle singole particolari situazioni. Infatti, per le disponibilità originate da eredità o redditi non dichiarati in anni molto remoti, per i quali è decaduto il potere di accertamento, un costo di emersione pari o superiore al 50 per cento potrebbe essere considerato eccessivo.

Lo scorso anno, erano state avanzate ipotesi – non tradotte in provvedimenti normativi - che avvicinavano il costo della regolarizzazione alle aspettative dei potenziali fruitori, utilizzando una diversa presunzione legale: in particolare, si ipotizzava che solo una metà della somma regolarizzata derivasse da redditi prodotti in anni ancora accertabili e fosse conseguentemente tassabile, lasciando esente la restante parte. Tale diversa presunzione portava ad un dimezzamento del costo di emersione e, nel caso di persone fisiche, considerata la progressività dell’imposizione, tale costo poteva ridursi a meno della metà. Tuttavia, lo “sconto” sul costo di regolarizzazione poneva problemi di equità nei confronti dei contribuenti virtuosi.

Partendo da queste premesse, un nuovo provvedimento, al fine di superare le principali criticità evidenziate, potrebbe: a) confermare la presunzione legale della Voluntary-bis e, quindi, la tassabilità dell’intera somma regolarizzata; b) articolare la tassazione in due componenti: (i) una prima consistente nella tassazione sostitutiva del 15 per cento applicabile all’importo regolarizzato, accompagnata dall’obbligo di convertire la gran parte o la totalità dello stesso nell’acquisto di appositi titoli del Tesoro di lunga durata (ad esempio: trentennale); (ii) una seconda parte del costo di regolarizzazione consisterebbe nel minor rendimento dei titoli obbligatoriamente sottoscritti rispetto ai tassi di mercato (ad esempio, una cedola “calmierata” lorda annua dell’1,6 per cento), avvicinando così la somma delle due componenti di costo a circa il 50 per cento del regolarizzato. Quanto detto potrebbe trovare applicazione per tutti i soggetti, con l’unica eccezione della cedola “calmierata” che, per i titolari di partita Iva, non verrebbe percepita dal possessore dei titoli, fino a completa compensazione con l’Iva dovuta sulle somme regolarizzate.

Per i titolari di partita Iva, quindi, l’Iva sarebbe pagata ratealmente, a mezzo compensazione con le cedole nette maturate. Come anticipato, sarebbe interessante considerare la possibilità di estendere la regolarizzazione all’oro detenuto in lingotti, il cui valore sarebbe convertito in titoli di Stato al fixing del giorno, previo deposito presso gli intermediari bancari, seguendo un apposito iter di verifica. Occorre considerare che i lingotti d’oro rivestono una maggiore tracciabilità rispetto alle pietre preziose, la cui regolarizzazione appare più problematica.

Per quanto detto, si ritiene che la nuova regolarizzazione ipotizzata non presenterebbe criticità legate all’equità nei confronti dei contribuenti virtuosi, avendo - come visto - un costo che si aggira intorno al 50 per cento dei valori regolarizzati, per i soggetti privati e di circa il 70 per cento, per i titolari di partita Iva, decine di miliardi di euro pronti per le casse dello Stato. Con riferimento all’appeal del provvedimento nei confronti dei potenziali fruitori, c’è da considerare che i titolari del contante hanno già rinunciato a qualsiasi rendimento, a motivo della particolare forma in cui sono attualmente detenute tali disponibilità. Di contro, va considerato il vantaggio di possedere titoli pubblici, consistente nel poterli offrire in garanzia alle banche per ottenere finanziamenti, compensando la lunga indisponibilità del capitale così investito. Il costo “percepito” da parte di chi accede alla norma di regolarizzazione è, quindi, del solo 15 per cento.

Inoltre, va considerato che, nella presente fase emergenziale, l’utilizzo del contante anche per piccoli importi risulta particolarmente sfavorito, perché comporta necessariamente un contatto fisico materiale , superato ormai dai pagamenti telematici, tipici dell’e-commerce. Indubbio, poi, il vantaggio per le casse dello Stato, che incasserebbe subito il 15 per cento delle somme regolarizzate e riceverebbe prontamente finanziamenti: (i) a tasso zero per oltre vent’anni, dai soggetti con partita Iva, (ii) a tasso molto basso, dai privati, per una lunga durata, di importo pari alle somme regolarizzate, al netto della tassazione sostitutiva, potendo così migliorare e potenziare il proprio intervento a favore dei cittadini colpiti dall’emergenza della pandemia.Infine, con riferimento agli aspetti penali, vi è da considerare che il provvedimento sanerebbe sostanzialmente le sole violazioni di matrice fiscale, analogamente alla Voluntary-bis, restando esclusi eventuali altri reati diversi da quelli fiscali commessi dai titolari delle disponibilità occulte: ad esempio, riciclaggio di denaro non proveniente da evasione fiscale.

In conclusione, far emergere dall’illegalità consistenti ricchezze e convogliarle a beneficio della comunità e, soprattutto, delle categorie più deboli e più colpite dell’attuale emergenza sanitaria ed economica appare un’operazione meritevole: molto più dell’introduzione di imposte patrimoniali e di prelievi forzosi. Viceversa, continuare ad ignorare fenomeni macroscopici quali le disponibilità occulte - al pari del lavoro nero – e lasciarli nella sfera dell’illegalità produce altri fenomeni illegali, quali l’usura.

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