
di Angelo Curiosi
Difficilmente firmeranno oggi stesso, ma la riunione-fiume tra la Fiat e i sindacati in corso in queste ore a Torino per il rinnovo della parte economica del contratto aziendale rappresenta un'occasione d'oro per Fim-Cisl, Uil, Uglm, Fismic e Aqcf, i cinque firmatari dell'accordo con cui Fiat è uscita dalla Confindustria quasi due anni fa riprendendosi così il diritto di disapplicare il contratto nazionale. Il punto attorno al quale sta discutendo il “tavolo” è la consistenza dell'incremento retributivo. La scomessa dei sindacati “sostenitori” della linea-yankee di Marchionne è molto chiara: “L'azienda”, spiega uno dei capi, accettando di non parlare in sindacalese a patto di non essere citato, “ha tutto l'interesse a riconoscere un aumento superiore ai 35 euro previsti per questa scadenza dal contratto nazionale per dimostrare che ha fatto bene chi si è fidato ed ha scelto di accettare la linea-Marchionne, cioè tutti tranne la Fiom-Cgil”.
Un “punto” politico, dunque, al quale il totipotente manager abruzzo-canadese tiene molto, e per il quale sarà anche disposto a sborsare qualche soldo. D'altra parte però i sindacati “consensuali” non posso neanche arrivare al punto di agevolare troppo la vita a Marchionne firmando subito, senza negoziare, la proposta migliorativa che a quest'ora gli sarà già stata fatta: altrimenti sembrerebbe una sorta di “combine”, mentre non è di questo che si tratta.
In effetti, l'intera strategia di Marchionne sui rapporti industriali è orientata ad un approccio politico-gestionale preciso che travalica di molto le implicazioni economiche: nel business automobilistico, il costo del lavoro incide per il 7% sul totale del costo del venduto, quindi anche un suo incremento del 10% si riverbera sui costi complessivi nella misura, modesta, dello 0,7 per cento. Quel che però è sempre stato a cuore a Marchionne è l'affermazione di un principio molto americano, in base al quale è l'azienda stessa ad assorbire nelle proprie logiche la difesa degli interessi dei lavoratori, con ciò di fatto svuotando il ruolo dei sindacati. Paradossalmente, però, proprio nella “sua” America, Marchionne sta trovando un osso duro nei sindacati metalmeccanici azionisti Chrysler, che stanno irrigidendo le condizioni perla vendita a Fiat del loro 46% della società, e pensano piuttosto a una quotazione in Borsa: il che allontanerebbe nel tempo e fore complicherebbe il piano di Marchionne sulla fusione Fiat-Chrysler, ormai ufficialmente prevista per il 2014.
“Ci sono tutte le condizioni – ha detto, prima dell'inizio del “vertice” il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo – affinché ai lavoratori Fiat venga assicurato un aumento fin dalla busta paga di gennaio di quest’anno. Aumento che sarà superiore ai 35 euro, stabiliti come prima tranche, dal rinnovato contratto nazionale dei metalmeccanici. Spero – prosegue il leader Fismic – che tutte le organizzazioni sindacali concordino su questo obbiettivo e che quindi fin da oggì si possa firmare un buon rinnovo della parte economica del contratto Fiat. Il raggiungimento dell’accordo sarebbe un segnale positivo nei confronti dei lavoratori che da anni stanno soffrendo un pesante utilizzo della cassa integrazione che incide fortemente sulle retribuzioni e che continuerà nel 2013, nonostante gli investimenti su Melfi, Grugliasco, Pomigliano, Modena e sulla Ferrari e quelli che ci sono stati confermati per Mirafiori e Cassino”.
Più cauto Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, per il quale “entro gennaio dobbiamo chiudere, ma pensare di fare l'accordo venerdì è ottimista".