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Esteri
Biden si porta in casa i chip di Taiwan. Obiettivo: depotenziare la Cina. Ma..

Biden incontra l'imperatore taiwanese dei chip in Arizona: perché è importante

Joe Biden in una fabbrica di semiconduttori. Taiwanese. Su suolo americano. Può sembrare strano, ma queste ccomponenti messe insieme dicono molto non solo della politica commerciale ma anche geopolitica e strategica degli Stati Uniti d'America. Quella dei microchip è una delle partite decisive individuata dalla Casa Bianca nella sua contesa con la Cina.

Non a caso il Chips Act e le successive restrizioni licenziate da Biden sono mirate proprio a potenziare la produzione interna e soprattutto provare a escludere Pechino (almeno parzialmente) dalle catene di approvvigionamento globali del settore. Anche perché i semiconduttori non servono solo per accendere computer e smartphone, ma anche per tutte le armi e veicoli militari di ultima generazione. Interrompere il flusso di chip verso Pechino (così come verso Mosca) viene ritenuto fondamentale anche nel settore bellico. In soldoni: in ipotesi di guerre future (o presenti, come in Ucraina) la dotazione di semiconduttori avanzati o meno può fare la differenza.

Ed ecco allora che è da cerchiare col pennarello rosso la data del 6 dicembre, il giorno in cui il presidente degli Stati Uniti si recherà presso l'impianto di TSMC, produttore di chip taiwanese e assoluto leader globale del comparto di fabbricazione e assemblaggio (con oltre il 50% dello share, dato che si alza ancora in relazione ai chip di ultima generazione). Il più grande produttore di chip a contratto del mondo sta costruendo un impianto da 12 miliardi di dollari a Phoenix, in Arizona. 

I colossi taiwanesi dei semiconduttori decisivi nella sfida Usa-Cina

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Per questo i colossi tech made in Taiwan hanno per ora mantenuta sempre aperta la porta nei confronti della Cina, anche su indicazione del governo locale: per perseguire i propri interessi economici, certo, ma anche per provare a scongiurare il rischio di un'azione militare. Morris Chang ha peraltro appena incontrato Xi Jinping una decina di giorni fa al summit APEC in Thailandia, il dialogo a più alto livello tra le due sponde dello Stretto di Taiwan da tempo immemore.

Il fondatore della Tsmc ha peraltro dichiarato la scorsa settimana che l'azienda sta pianificando di produrre chip con tecnologia avanzata a 3 nanometri nel suo nuovo stabilimento di Phoenix, ma i piani non sono ancora completamente finalizzati. La fabbrica di TSMC in Arizona ha suscitato preoccupazioni a Taiwan, dove la produzione di semiconduttori è la spina dorsale dell'economia, per una tendenza all'"addio a Taiwan" tra le aziende di chip. TSMC, che produce la maggior parte dei suoi chip a Taiwan, sta costruendo anche una fabbrica in Giappone.

Sia gli Stati Uniti che l'Europa stanno stanziando miliardi di dollari in incentivi per spingere le aziende a produrre chip più vicino a casa, corteggiando in particolare le aziende taiwanesi. In agosto, Biden ha firmato una legge che finanzia 52,7 miliardi di dollari per la produzione e la ricerca di chip per semiconduttori. La legge "Chips and Science" comprende anche un credito d'imposta per gli investimenti in impianti di chip per un valore stimato di 24 miliardi di dollari.

Ma c'è chi teme che un maggiore legame con gli Usa e una minore dipendenza da Taipei possa far avanzare i rischi per Taiwan stessa. Un paradosso, che proprio il principale protettore di Taiwan, cioè gli Usa, possano in qualche modo rischiare di contribuire ad ammaccare quello scudo di silicio.

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