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Brexit, Farage dopo lo stop della Corte: si farà anche se più lentamente


"E' una decisione attesa". Nigel Farage, ex leader dello Ukip, commenta con Affaritaliani.it la decisione della Corte Suprema britannica che ha stabilito la necessità di un voto parlamentare per andare avanti con l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Ora la Brexit è a rischio? "No, penso che questi siano tentativi dell'establishment di ritardare e affossare la Brexit. Ma accadrà comunque, soltanto un po' più lentamente di quanto avrei desiderato", conclude Farage.

LA DECISIONE DELLA CORTE GB - La Brexit deve passare dal parlamento. Con un voto di 8 giudici a 3, la Corte Suprema ha deciso che è necessario un voto della camera dei Comuni e della camera dei Lord per decidere di dare formalmente inizio all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea: una procedura fissata dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona sulla secessione degli stati membri. Theresa May non potrà invocare tale articolo, prima che il palazzo di Westminster abbia dato la sua approvazione. Il governo, che si è detto molto deluso della decisione, ha così perso per la seconda volta la battaglia legale per cominciare le pratiche di divorzio da Bruxelles autonomamente: sconfitto l’autunno scorso dall’Alta Corte di Londra, di nuovo sconfitto stamane dalla più alta autorità giudiziaria del regno.
 
E’ una sconfitta simbolicamente importante, ma non è ancora chiaro se avrà conseguenze pratiche. Il ministro per la Brexit David Davis si prepara a presentare nelle prossime ore una proposta di legge al vaglio del parlamento per l’approvazione dell’articolo 50. E’ possibile che il dibattito in aula cominci assai presto, nel giro di giorni o settimane. La premier May ci tiene a mantenere la scadenza da lei stessa fissata, secondo cui l’avvio della trattativa con la Ue sulla secessione deve cominciare “entro la fine di marzo”. E’ certamente sua intenzione avere iniziato il negoziato entro giugno, cioè quando sarà passato un anno dal referendum con cui gli elettori britannici hanno sancito, 52 a 48 per cento, l’uscita dall’Europa a 28 paesi – in procinto di diventare a 27.
 
La previsione generale è che nessun partito si opporrà radicalmente all’articolo 50, ovvero all’uscita dalla Ue, per non apparire contrario alla volontà popolare espressa dal referendum. Ma Jeremy Corbyn, leader laburista, afferma già che il voto del parlamento sulla Brexit dovrà “avere significato”, insomma essere più un semplice sì alla decisione del governo: l’opposizione cercherà di porre dei paletti, delle condizioni agli obiettivi elencati di recente da Downing Street, in particolare sull’accesso al mercato comune e all’unione doganale. E il partito liberal-democratico chiederà che, oltre a un voto del parlamento sull’accordo finale di uscita dalla Ue, come ha già proposto la stessa May, ci sia un secondo referendum popolare su tale accordo, per permettere eventualmente al popolo di ripensarci.
 
“Il governo non può fare scattare l’articolo 50 senza un atto del parlamento che lo autorizzi a farlo”, sono state le parole con cui lord Neuberger, presidente della Corte Suprema, ha annunciato il suo verdetto. In tutto, il magistrato ha parlato per appena dieci minuti. Il succo della sentenza è diventato evidente in tutti i suoi aspetti poco dopo, quando la corte ha diffuso un voluminoso documento sulla propria decisione. E a questo punto si è capito che, se da un lato i giudici hanno dato torto al governo, dall’altro gli hanno dato ragione: negando il diritto dei parlamenti autonomi di Scozia, Irlanda del Nord e Galles di votare a loro volta sulla Brexit, un’ipotesi che avrebbe aperto scenari ancora più incerti, considerato che due delle regioni autonome, Scozia e Irlanda del Nord, hanno votato a grande maggioranza per restare nella Ue e ora minacciano apertamente la secessione dalla Gran  Bretagna per continuare a fare parte dell’Europa. Ma i magistrati hanno ritenuto che, sebbene l’appartenenza alla Ue fosse un elemento della devolution che ha concesso poteri autonomi alle tre regioni, queste non siano mai state attivamente coinvolte nei rapporti diretti con la Ue, che spettano alle autorità nazionali.
 
“Non è una vittoria per me”, commenta all’ingresso della Corte Suprema una raggiante Gina Miller, la donna d’affari che ha messo in moto l’iter giudiziario presentando ricorso all’Alta Corte per chiedere che il parlamento avesse voce in capitolo. “E’ una vittoria per la democrazia”. E questa è anche la morale dei giudici: “La Gran Bretagna non ha una costituzione scritta”, ha concluso lord Neuberger, “ma permettere al governo di azionare l’articolo 50 senza
l’autorizzazione del parlamento, in nome di antiche prerogative reali, sarebbe stata una violazione di secolari principi costituzionali del nostro paese”. In altre parole, un ritorno a un potere assoluto che l’Inghilterra ha cominciato ad abbandonare nel 1215 con la Magna Carta.

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