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Esteri
Giappone, missione corazzata in Vietnam e Indonesia. "Ma niente Nato asiatica"

Il kizuna 絆 si rafforza. Il legame tra Giappone e l'area Asean (di cui avevamo già parlato nelle scorse settimane) esce più saldo dal viaggio di quattro giorni di Suga Yoshihide in Vietnam e Indonesia. La prima visita all'estero del nuovo primo ministro è avvenuta in un momento in cui l'area Asean sta assumendo una valenza strategica di primo piano. Ed è stata immediatamente successiva a quella del ministro degli Esteri cinese Wang Yi nella stessa regione. 

"Il premier Suga è andato in Vietnam e Indonesia con il cappello della 'Japan’s Free and Open Indo-Pacific (FOIP) policy' ma in realtà ha portato avanti una ‘missione corazzata’, dice Valerio Bordonaro, direttore dell'Associazione Italia-Asean ad Affaritaliani. "Partito da Tokyo con il pacchetto di incentivi per le aziende giapponesi che spostano la produzione dalla Cina, è andato, da un lato, a raccogliere in Asean altrettanti incentivi affinché quelle aziende giapponesi rilocalizzino proprio nel sud-est asiatico. Dall’altro, ha portato supporto e investimenti in infrastrutture strategiche, a fronte di nuovi contratti per la propria industria militare", prosegue Bordonaro.

Già le diverse mete dei viaggi di Suga e Wang sembrano dire molto sulla linea diplomatica dei due big d'Oriente. Il primo ministro giapponese è andato direttamente al fulcro vitale dello scacchiere del Sud.est. Il Vietnam (di cui abbiamo parlato diffusamente la scorsa settimana) sta ultimando la sua presidenza di turno Asean ed è il paese più deciso nel confrontare la Cina sullo spinoso tema del Mar Cinese Meridionale. Argomento sul quale l'Indonesia appare meno assertiva, ma il ruolo di Giacarta è di primaria importanza, non fosse altro per le dimensioni della sua popolazione e del suo mercato e per il fatto che la sede centrale dell'Asean si trova proprio qui.

Il ministro degli Esteri cinese ha invece visitato Cambogia, Laos, Malaysia, Thailandia e Singapore, a breve distanza di un tour del ministro della Difesa che aveva invece coinvolto anche Brunei e Filippine. La visita di Wang (come abbiamo raccontato nelle ultime pillole sulla settimana asiatica) ha prodotto alcuni risultati concreti: un accordo di libero scambio con la Cambogia, il paese Asean più vicino a Pechino anche a causa delle sanzioni Ue, promesse di cooperazione con la Malaysia, anche se Kuala Lumpur ha bloccato sei navi cinesi nelle sue acque proprio in quei giorni. La visita in Thailandia è servita per ribadire il sostegno di Pechino a un governo alle prese con le proteste di massa delle ultime settimane, dalle quali spuntano peraltro riferimenti anche ai nodi interni della Cina, dal Tibet a Hong Kong fino a Taiwan, nel segno della cosiddetta Milk Tea Alliance. Sono stati anche riavviati i flussi turistici tra i due paesi, argomento fondamentale per Bangkok, che ha nel settore circa il 20% del suo pil.

La sensazione è quella di un compattamento dell'area più integrata nell'ingranaggio asiatico del Dragone, che ha comunque ribadito il suo (imprescindibile) ruolo dell'area. Il Giappone invece ha tentato di fare passi avanti ulteriori, dopo quelli già compiuti sotto il fronte degli investimenti. Tokyo vuole andare al di là della cooperazione commerciale, pur fruttuosa, con il Sud-est, ed entrare nella sfera operativa. Segno degli obiettivi geopolitici nipponici, che passano prevalentemente dalla collaborazione con le altre realtà regionali, o dell'Indo Pacifico.

Non a caso, durante il viaggio in Vietnam è stato annunciato un accordo che prevede il rafforzamento della cooperazione tra i due paesi in materia di difesa e sicurezza. Il Giappone esporterà tecnologie e attrezzature militari ad Hanoi. Già negli scorsi mesi, d'altronde, Tokyo aveva prestato 348 milioni di dollari al Vietnam per la costruzione di unità navali. In questo caso sono coinvolti due velivoli di Kawasaki Aerospace: quello di pattugliamento marittimo P-1 e quello da trasporto tattico C-2.

Suga e il primo ministro vietnamita Nguyen Xuan Phuc hanno firmato anche accordi in materia commerciale e di antiterrorismo. Il ruolo del Giappone in Vietnam si fa dunque sempre più rilevante, tenendo conto che gli scambi bilaterali sfiorano già i 30 miliardi di dollari. Ma, soprattutto, le relazioni sembrano acquisire una statura più diplomatica, al di là della semplice sfera economica. Che, nel frattempo, fa segnare in realtà una battuta d'arresto nel 2020, con il Giappone che nei primi nove mesi dell'anno si piazza solo al quarto posto per investimenti diretti in Vietnam, alle spalle della Cina (che invece risale ai livelli del 2015) e anche della Corea del sud.

Significativa anche la tappa in Indonesia. L'incontro tra Suga e il presidente Joko Widodo è stato l'occasione per accelerare il ripristino dei viaggi d'affari tra i due paesi e un prestito da parte di Tokyo di 470 milioni di dollari per il contrasto alla pandemia da Covid-19, che nell'enorme paese insulare ha colpito più duramente che nel resto del Sud-est asiatico. Non solo. E' stata annunciata una ministeriale che coinvolgerà i rispettivi ministri di Esteri e Difesa, con l'obiettivo di raggiungere un accordo per il trasferimento di tecnologie difensive da Tokyo a Giacarta.

LP 11888158(fonte Lapresse)Guarda la gallery

"Attraverso questa doppia visita, Suga, rendendo omaggio alla piattaforma di dialogo che è l'Asean e creando legami economici, strategici e militari, è andato a rosicchiare una piccola parte del vantaggio che ha la Cina sul panorama globale", spiega Bordonaro. La missione giapponese porta un po’ di peso in più al piatto della bilancia sul quale siedono, momentaneamente, Asean e Giappone, a discapito della Cina. Una nuova mossa è stata giocata sul Cubo di Rubik asiatico. Finché i singoli cubetti continueranno a girare non ci sarà rischio di rotture", dice il direttore dell'Associazione Italia-Asean.

Sì, perché l'obiettivo di Tokyo non è quello di arrivare alla rottura con Pechino (come già spiegato qui). Certo, il Giappone sta rafforzando la partnership con l'area Asean e le altre potenze medie dell'Indo Pacifico, come dimostrano i rispettivi patti di cooperazione difensiva con India e Australia, nonché le esercitazioni congiunte di Malabar in ambito Quad delle prossime settimane insieme agli Stati Uniti. "Stiamo osservando la situazione di crescente aggressività con preoccupazione", ha detto Suga in riferimento alla situazione nei mari cinesi, seppure senza citare direttamente Pechino. Ma allo stesso tempo ha ribadito che "il Giappone si oppone a qualsiasi azione che accresca la tensione nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, e per questo non miriamo alla creazione di una Nato asiatica col fine di contenere alcuna nazione".

Siamo di nuovo lì. Il Giappone, e non solo, si muovono per creare un'alternativa alla Cina. Un'alternativa asiatica, dialettica e non apertamente ostile a Pechino. Insomma, un'alternativa che si prepara a poter fare a meno degli Stati Uniti d'America. Il cubo continua a girare.

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