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Immigrazione, anche nei fondi Ue vige la logica emergenziale

Il bilancio europeo 2021-2027 stanzia per l’immigrazione quasi 23 miliardi. Sono fondi destinati soprattutto alla gestione delle frontiere e non all’integrazione. Mentre sarebbe meglio investire nella costruzione di un clima di rispetto reciproco.

L’immigrazione nel bilancio europeo

Il Consiglio europeo, che si è concluso il 21 luglio ed è passato alla storia per l’accordo sul Recovery Fund, ha visto anche la definizione di alcune importanti voci del bilancio europeo 2021-2027. Per quanto riguarda l’immigrazione, vengono stanziati quasi 23 miliardi complessivi per il settennato, pari a circa il 2 per cento del bilancio Ue.

8,7 miliardi sono destinati al Fondo asilo e migrazione (Fami), di cui circa il 60 per cento è distribuito agli stati membri per la gestione di programmi nazionali, mentre il rimanente è gestito attraverso strumenti tematici, cioè progetti finanziati direttamente dalla Commissione.

5,5 miliardi saranno invece destinati al Fondo per la gestione delle frontiere (Ibmf), mentre 5,1 miliardi andranno a rafforzare l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex).

Il primo elemento che salta all’occhio è lo squilibrio tra le risorse previste per la gestione delle frontiere (oltre 10 miliardi totali) e quelle per l’integrazione dei migranti, segno della volontà politica di ridurre al massimo gli arrivi per non prestare il fianco alle critiche del fronte sovranista.

Per esempio, gli stranieri in Italia sono oltre 5 milioni (8,8 per cento della popolazione totale), ma i fondi sono destinati a bloccare gli sbarchi illegali che pure hanno raggiunto il picco nel 2016, con 181 mila ingressi (0,3 per cento della popolazione totale), e oggi si attestano intorno ai 20 mila ingressi annui. Se è corretto fermare gli arrivi non autorizzati, lo è anche investire sull’integrazione dei migranti già presenti e autorizzare canali regolari di ingresso.

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Per una valutazione più ampia, sarebbe interessante confrontare i fondi del settennato 2021-2027 con quelli stanziati nel bilancio preventivo 2014-2020. Purtroppo, non è possibile effettuarlo perché il fondo Fami veniva allora ripartito in diverse voci del bilancio (“Sicurezza e cittadinanza”, “Ruolo mondiale dell’Europa”). È però possibile un confronto con il bilancio consuntivo pubblicato dalla Commissione.

Nel periodo 2014-2020 sono stati spesi a livello europeo circa 6 miliardi di euro per il fondo Fami, a cui si aggiungono 3,5 miliardi per la gestione delle frontiere. Rispetto a queste cifre, per il 2021-2027 (anche se il confronto andrebbe fatto tra i due consuntivi), emerge un incremento degli stanziamenti sia del fondo Fami (+43 per cento), ma soprattutto di quelli per le frontiere (+57 per cento), senza considerare il potenziamento di Frontex.

Distribuzione per paese

Nel periodo 2014-2020 l’Italia è stato il paese che ha beneficiato di più risorse (circa 1 miliardo complessivo, pari al 10 per cento del budget totale). Si tratta di un dato non scontato, se si pensa ad esempio che la Grecia ha avuto un numero maggiore di sbarchi (1,5 milioni nel periodo 2010-2019, contro i 787 mila dell’Italia) e la Germania il primato di richieste d’asilo (oltre 2 milioni nel decennio 2010-2019, contro le 576 mila dell’Italia).

Oltre alla quantità dei fondi, bisogna analizzare il modo in cui vengono utilizzati. Nel nostro caso, 440 milioni sono andati alla gestione delle frontiere (pattugliamenti, controlli, salvataggi in mare), mentre oltre 570 milioni sono stati destinati alle politiche di accoglienza e integrazione.

Si tratta di risorse importanti che vanno a rafforzare le politiche sociali sul territorio, gestite principalmente dai comuni: 348 milioni di euro nel 2017 (ultimo aggiornamento Istat), pari al 4,8 per cento della spesa sociale complessiva.

Se consideriamo che buona parte delle somme viene assorbita dal sistema di accoglienza, si conferma la tendenza degli ultimi anni di ridurre le risorse per l’integrazione e la gestione della migrazione legale a favore di quelle per l’asilo e i rimpatri, ovvero la gestione emergenziale del fenomeno.

Rincorrendo lo slogan “prima gli italiani”, si dimentica che le risorse spese per l’integrazione non sono soldi “per gli immigrati”, ma strumenti volti a favorire la convivenza e la prevenzione della marginalità. Senza dimenticare poi che quelle risorse non vanno nelle tasche degli immigrati, ma servono a finanziare servizi e professionalità del territorio: educatori, insegnanti, formatori, per esempio.

Investire nella prevenzione e nella costruzione di un clima di convivenza civile e rispetto reciproco, in definitiva, non potrebbe che giovare a tutta la popolazione e sarebbe quindi, un buon investimento “nell’interesse nazionale”.

*Da Lavoce.info

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