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Esteri
Guerra in Corea e corsa al nucleare. Il mondo dopo un anno di Trump

di Lorenzo Lamperti

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"Non c'è più del marcio in Danimarca". Donald Trump continua a sorprendere tutti, anche a distanza di un anno dalla sua inattesa vittoria alle elezioni americane. Il presidente a stelle e strisce ha abbandonato la sua immagine da uomo del popolo, quantomeno a livello culturale se non economico, e si è messo persino a citare Amleto. Rapidamente sono cominciate le speculazioni: chi potrebbe avergli suggerito il riferimento a Shakespeare? Il ministro Rudolph Giuliani, impegnato negli arresti di massa degli esponenti del movimento ribelle Black Lives Matters che protestano in moltissime città degli Stati Uniti per il 345esimo afroamericano ucciso dalla polizia da inizio anno? O forse Sarah Palin, che ha appena presentato al Congresso di Washington la sua proposta di legge per vietare l'aborto? 

Siamo a novembre 2017. La notizia commentata da Trump è l'uscita della Danimarca dall'Unione europea. Un referendum convocato d'urgenza negli scorsi mesi dal Partito Popolare Danese è stato un colossale successo di affluenza. Kristian Thulesen-Dahl è entusiasta: "Copenaghen è libera". La vittoria della Danexit è stata schiacciante. Ma questa volta, rispetto a quanto accaduto nell'ormai lontano giugno 2016 con la Brexit, praticamente nessuno si aspettava che le cose andassero diversamente. 

L'Unione europea è a un passo dal suo definitivo sbriciolamento. Il presidente francese Alain Juppé, che ha sconfitto per pochissimi punti percentuali Marine Le Pen nel secondo turno delle presidenziali francesi della scorsa primavera, ha dovuto rivedere le sue posizioni sull'Europa per non finire travolto dal Front National che ha da poco annunciato di essere riuscito a raccogliere le firme necessarie per il referendum sull'addio della Francia all'Ue. A inizio 2018 è previsto il voto in Svezia e in Olanda, dove il neo presidente Geert Wilders ha promesso nuova grandezza ai Paesi Bassi.

Il primo ministro britannico Theresa May esulta per la Danexit: "Ora la nostra collaborazione economica e politica sarà ancora più forte". E' un momento molto positivo per la May, che ha da poco concluso l'iter per quella che è stata già ribattezzata la "very hard Brexit". Commenti più distaccati invece da Berlino. In Germania non si è ancora risolto il vuoto di potere risultato dalle elezioni di settembre. Il movimento di estrema destra Afd ha raggiunto il 20%, rendendo impossibile una Grosse Koalition Cdu-Spd. Il discorso si è allargato a Verdi e Die Linke, spostando il paese su un euroscetticismo di sinistra. Angela Merkel è uscita di scena ed entro Natale l'ex ministro dell'Economia Sigmar Gabriel dovrebbe essere nominato cancelliere. Nel 2018 si prevedono scintille tra il governo tedesco e Washington, dopo che Trump ha deciso di strappare l'accordo di Parigi sul clima gettando nello sconforto gli ambientalisti di tutto il mondo.

Il voto danese ha invece gettato ancora più ombre sul futuro dei paesi dell'Est Europa. La Polonia ha invocato lo schieramento delle truppe Nato ai suoi confini orientali, preoccupata dall'incombente ombra russa. Una richiesta rimasta per ora inascoltata. L'indebolimento e l'irrilevanza dell'Alleanza Atlantica sembra ormai irreversibile. Dopo aver ritirato le truppe dalla Lettonia, Trump ha infatti annunciato la fine delle esercitazioni militari nell'area dell'Europa orientale. Il timore serpeggia anche nei Paesi Baltici. Da mesi le minoranze russofone sono in agitazione e i blackout energetici, che molti riconducono a Mosca, si moltiplicano.

Vladimir Putin, al massimo della sua popolarità interna dopo l'abolizione delle sanzioni Ue, si congratula con Copenaghen, alla viglia del summit della prossima settimana con i leader europei ricaduti nella sfera di influenza della rinascente Unione Sovietica. Al Cremlino arriveranno tra gli altri il presidente ungherese Viktor Orbàn e quello serbo Tomislav Nikolic, che ha appena annunciato l'addio al processo di adesione all'Ue, così come fatto dalla Bosnia Erzegovina poche settimane fa. Sarà presente anche Alexis Tsipras, in ottimi rapporti con Putin dopo l'avvio del progetto del gasdotto transnazionale che dalla Russia arriverà fino all'Europa centrale.

Il vertice di Cremlino potrebbe essere l'occasione giusta per annunciare l'indipendenza della Transnistria dalla Moldavia. Sarebbe il secondo grande successo geopolitico di Putin dopo che Trump ha riconosciuto ufficialmente l'appartenenza della Crimea alla Federazione Russa. Contemporaneamente, il presidente americano cercherà di fare da paciere tra Putin e Erdogan. La tensione tra Mosca e Ankara è tornata alta per il protagonismo russo nell'area, amplificatosi dopo l'arrivo di Trump alla Casa Bianca. Al centro anche la risoluzione definitiva del capitolo Siria. E' ormai appurato che Bashir al-Assad resterà al potere. Resta da capire che cosa fare dei curdi, che hanno approfittato del conflitto per sfiorare l'unione territoriale delle loro enclavi sirianoirachene. Trump sta pensando di lasciare mano libera a Erdogan sul Kurdistan siriano e come segno di buona volontà ha deciso di consegnargli Fethullah Gulen, accusato di essere l'ideatore del golpe turco fallito nel luglio 2016.

Gli Usa invece lasceranno ampia autonomia al Kurdistan iracheno. Una decisione che non piace per niente all'Iran. Teheran teme problemi nel suo Kurdistan e minaccia reazioni. D'altronde il rapporto con gli Usa è tornato ai minimi termini dopo la destituzione di Rohani, frutto del decadimento dell'accordo sul nucleare firmato con Barack Obama, e il ritorno delle sanzioni. L'ala dei falchi conservatori è tornata al potere e i progetti nucleari sono ricominciati. John Bolton continua a ripetere la necessità di un intervento militare nel Paese, che sarebbe condotto con l'aiuto di Israele e con la tacita complicità dell'Arabia Saudita, che a sua volta sta sviluppando la propria potenza nucleare. 

Nessun commento ufficiale al voto danese arriva invece da Pechino. La Cina è impegnata a gestire la drammatica situazione venutasi a creare nell'Asia orientale. Siamo da poco entrati nella seconda settimana di scontri tra Corea del Nord e Corea del Sud. Kim Jong-un minaccia di usare una bomba atomica sui rivali se Seul non dovesse sottomettersi. Una situazione resa ancor più complessa dopo che il gruppo jihadista Abu Sayyaf ha preso il potere in larghe porzioni delle Filippine, sprofondate nel caos dopo l'omicidio del presidente -vigilante Rodrigo Duterte, avvenuto in circostanze poco chiare.

La Cina sa di non potersi aspettare l'aiuto americano, anche perché i rapporti tra le due superpotenze è ai minimi termini dopo che Trump ha deciso l'innalzamento dei dazi doganali al 45% sui prodotti cinesi. Una mossa che indirettamente ha messo in difficoltà anche il Giappone, sempre più minacciato dall'assenza di controbilanciamento al predominio cinese nel Pacifico. Shinzo Abe ha ufficialmente dichiarato che Tokyo si doterà di armamenti nucleari e ha destituito il ministro della difesa Fumio Kishida, contrario al riarmo.

In questo momento estremamente positivo sul fronte interno, Trump non può permettersi un coinvolgimento in un'altra guerra dopo l'intervento in Libia al fianco del generale Haftar e del presidente egiziano Al Sisi. Sui telegiornali americani continuano a scorrere immagini di terroristi uccisi in territorio libico mentre i barconi pieni di profughi in fuga dalla guerra continuano ad arrivare a Lampedusa, proprio mentre l'esodo dal Medio Oriente verso la Grecia è ricominciato in seguito alla crisi politica tra Bruxelles e la Turchia. "The Donald" non vuole rischiare di intaccare la sua popolarità avventurandosi in Oriente, visto come un tabù negli Usa sin dai tempi delle guerre in Corea e soprattutto in Vietnam.

Senza contare che Trump deve anche gestire i difficili rapporti con i vicini di casa. Primo fra tutti il nuovo governo ultranazionalista messicano, che ha stravinto le elezioni anticipate dopo che la costruzione del muro anti migranti lungo i 3142 chilometri di confine con gli Usa continua a grande ritmo. Il Venezuela, da tempo in crisi umanitaria, è sull'orllo della guerra civile. E il Canada è in grande difficoltà dopo la cancellazione del Nafta, l'accordo di libero scambio sul quale si reggeva in larga parte l'economia canadese.

Sul fronte interno, Trump deve sì fronteggiare le crescenti tensioni sociali con le minoranze, ma i numeri gli stanno dando ragione. I colossali investimenti nelle infrastrutture e nelle grandi opere stanno sorreggendo un'economia ormai autosufficiente, grazie all'azzeramento dei vincoli ambientali su trivellazioni e fracking. Le tecniche di estrazione petrolifera e il ritorno dell'utilizzo industriale del carbone lasciano perplessi dal punto di vista ambientale e sanitario, così come qualcuno è preoccupato dall'esplosione del debito pubblico seguita all'aumento vertiginoso degli investimenti e alla riduzione delle tasse. Ma le critiche, espresse soprattutto da Michelle Obama, sono per ora messe a tacere dall'aumento dell'occupazione, che insieme ai tassi più alti stanno portando a una crescita dell'inflazione. Persino Bernie Sanders, l'ex sfidante di sinistra di Hillary Clinton alle primarie democratiche del 2016, si è a più riprese complimentato con Trump. 

A Copenaghen, intanto, la gente è in strada. In pochi festeggiano, in pochi si lamentano. Gli eventi sembra quasi fossero inevitabili e non dipendenti da una consultazione popolare. E' fine serata. Due ragazze velate raccolgono i bicchieri di plastica sparsi lungo Nyhavn. Alle loro spalle, un cartellone con il manifesto di "The Donald", il nuovo film di Oliver Stone. 

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