Usa, Obama: "Hillary è la persona giusta"
Obama infiamma la convention democratica
È la consacrazione più importante, più autorevole, e anche quella che può spostare più voti. Barack Obama arriva alla convention di Philadelphia a portare il suo appoggio a Hillary Clinton, il giorno dopo la storica nomination per la donna in corsa per la Casa Bianca. "È lei la persona adatta, l'ho vista lavorare al mio fianco, nessuno oggi è preparato quanto lei per guidare questo paese. Hillary è una che vi difenderà, è una che non molla mai". Obama arriva a Philadelphia al termine di una giornata segnata dal "caso Trump-Putin": l'inaudita frase con cui il candidato repubblicano ha invitato la Russia a catturare e rivelare le email segrete di Hillary. Un altro gesto anomalo, senza precedenti, l'ammiccamento verso una potenza straniera, l'occhiolino a un avversario come Vladimir Putin, l'invito a interferire in una campagna elettorale della più antica liberal-democrazia del mondo. Eppure "tutto è possibile alle urne", ammonisce Obama, ammettendo per la prima volta che una vittoria di Trump lo preoccupa.
È proprio per segnare la distanza che separa i democratici da Trump, che Obama decide di sottolineare tutto ciò che di positivo vede nel suo paese. Se Trump alla convention repubblicana di Cleveland ha descritto un'America nel caos, dilaniata dalla violenza, in declino economico, Obama si fa carico di contrastare quella narrazione cupa. "L'America che io conosco - dice il presidente - è piena di coraggio, ottimismo, inventiva. L'America che io conosco è onesta e generosa. Certo, abbiamo le nostre preoccupazioni quotidiane, siamo frustrati dalla paralisi politica, spaventati dalle divisioni razziali, sconvolti e angosciati dalle follie di Orlando o di Nizza. Ci sono sacche del nostro paese che non si sono riprese dalle chiusure di fabbriche; uomini che un tempo erano orgogliosi del loro duro lavoro con cui mantenevano le famiglie, e ora si sentono dimenticati. Genitori che si chiedono se i loro figli avranno le stesse opportunità che abbiamo avuto noi. Tutto questo è vero. La sfida è fare meglio; essere migliori. Ma attraversando il paese, visitando tutti i 50 Stati, io ho visto anche quello che è giusto in America. Vedo quelli che lavorano duramente e creano nuove imprese; quelli che insegnano ai figli lo spirito di servizio per il paese. Vedo una nuova generazione piena di energie e di idee nuove, che non si lascia condizionare dall'esistente, che è pronta a cogliere l'opportunità di un futuro migliore".
E poi c'è l'endorsement a Hillary, che Obama confeziona dall'alto della sua esperienza. E' giunto ormai al termine del suo secondo mandato. Con Bill Clinton lui è l'unico presidente democratico dagli anni Sessanta che è riuscito a farsi rieleggere. Ha ereditato un'America stremata dalla più grave crisi economica dopo la Depressione degli anni Trenta, e oggi la governa al settimo anno di ripresa economica, con una crescita certo diseguale ma più solida di qualsiasi altra nazione avanzata. È riuscito a disimpegnare quasi interamente il suo paese dalle due guerre che gli aveva lasciato George W. Bush. Ha eliminato Osama Bin Laden, il regista dell'attacco dell'11 settembre. Una parte di questo percorso lui l'ha fatta con Hillary al suo fianco, l'ha avuta per un intero mandato nel suo esecutivo. Stasera lui "garantisce" per lei.
"Sapete - dice Obama - non c'è nulla che ti prepari veramente per le sfide dello Studio Ovale. Finché non ti sei seduto dietro quella scrivania non sai cosa significa affrontare una crisi globale o mandare dei giovani a combattere al fronte. Ma Hillary in quella stanza c'è stata, ha preso parte a quelle decisioni. Sa qual è la posta in gioco delle decisioni di governo per le famiglie dei lavoratori, i pensionati, i piccoli imprenditori, i soldati, i reduci. Anche nel mezzo di una crisi lei ascolta le persone, mantiene il sangue freddo, tratta tutti con rispetto. E per quanto sia alto il rischio di fallire, per quanto altri possano cercare di sconfiggerla, lei non molla mai. Questa è la Hillary che io conosco. È la Hillary che ho finito per ammirare. Ecco perché io posso dire con fiducia che non c'è mai stato un uomo o una donna così preparati quanto lei a fare il presidente degli Stati Uniti".
È una serata importante per Obama. Mancano ormai cento giorni all'elezione, a gennaio lui dirà addio alla Casa Bianca. Ma nel voto dell'8 novembre si gioca la sua eredità. Aiutando Hillary lui difende anche se stesso, il lavoro che ha fatto, la sua immagine futura. Una vittoria repubblicana - chiunque fosse stato il candidato - avrebbe probabilmente segnato l'inizio dello smantellamento delle sue riforme a cominciare da quella sanitaria. Avrebbe segnato comunque la rivincita di Wall Street, e della lobby petrolifera che finanzia le campagne negazioniste sul cambiamento climatico. Una vittoria di Trump oltre a tutto questo rappresenta un salto nel buio, la vittoria di un'America razzista e intollerante, forse anche un imbarbarimento e un pericolo per la democrazia. Obama può ancora fare molto, da qui all'8 novembre. Come presidente ha avuto alti e bassi, successi e sconfitte, ma come lottatore in campagna elettorale si è dimostrato imbattibile, a due riprese. Ha ancora carisma in abbondanza, piace ai giovani, può trascinare neri e ispanici alle urne. In una sfida elettorale che in larga parte si gioca sull'affluenza alle urne, dove vince chi sa mobilitare di più la propria parte, il presidente sarà un infaticabile propagandista di Hillary. Le incognite sono per lo più esterne: violenze razziali o attentati terroristici possono ancora fare il gioco di Trump.