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Paola Mastrocola si racconta in “La memoria del cielo”

Edito da Rizzoli, La memoria del cielo è l’ultimo libro della pluripremiata scrittrice Paola Mastrocola. La storia di una bambina che ricorda la propria infanzia, ma si lascia ingannare dall’evanescenza dei ricordi.

Paola Mastrocola non la definisce una vera e propria autobiografia, ma ammette che questo è il libro in cui ha regalato più cose di sé stessa ai lettori. Vincitrice del Premio Calvino nel 2000 con La gallina volante, finalista al Premio Strega nel 2001 con Palline di pane e vincitrice del Premio Campiello nel 2004 grazie a Una barca nel bosco, la Mastrocola è un’autrice che ha collezionato numerosi premi, milioni di copie vendute e non poche soddisfazioni professionali. Ora, all’età di 67 anni, è giunto per lei il momento di raccontare la propria storia, a partire dalla famiglia trasferitasi a Torino, la sua città natale. Nei ricordi della bambina che fu c’è un padre a tratti ammaliante e a tratti ingombrante, forse causa dei sacrifici compiuti da sua madre; d’altro canto, c’è l’immagine di una moglie scontenta che aveva riposto tutti i suoi sogni nella figlia tanto desiderata, ma che non riusciva ad avere. E quando alla fine la piccola arrivò – Paola, per l’appunto, qui nei panni del suo alter ego letterario Donatafu investita di una missione quasi impossibile: rendere sua madre felice.

La memoria del cielo
 

“È la storia di una donna matura che fa i conti con l’infanzia – ha raccontato Paola Mastrocola al Salone del Libro di Torino, dove era tra gli ospiti più attesi di Rizzoli con il suo La memoria del cielo – Non siamo noi a scegliere quando raccontarci, è l’infanzia che a un certo punto ci chiama e ci fa capire che vuole essere guardata negli occhi, dopo averci camminato accanto per una vita intera. Per lungo tempo ci accompagna quasi come un’estranea, o qualcosa di scontato, fino a quando decide di svelarsi”. Il problema, però, è che la memoria non è infallibile: i ricordi assumono sempre una forma differente rispetto alla realtà, cambiano in base al nostro vissuto, alle esperienze che vengono dopo e al modo in cui rielaboriamo i fatti. Ecco, allora, che il tentativo di mettere ordine nel nostro passato potrebbe rivelarsi più difficile del previsto, come accade nel libro a Donata. Il filtro della bambina, i suoi occhi e il punto di vista che raccontano la storia, rende la prosa de La memoria del cielo limpida, cristallina, piacevole da leggere e facile all’immedesimazione. Così, in fin dei conti questo salto indietro nel tempo può dirsi universale, perché – pur ciascuno con il proprio personale vissuto – prima o poi viene per tutti il momento di fare i conti con la strada percorsa per arrivare sino a qui.

È interessante, tra i vari aspetti che caratterizzano questo romanzo, l’emergere di due realtà assai distanti tra loro sia da un punto di vista geografico che ambientale. L’Abruzzo è la terra delle origini, con le sue tradizioni antiche, la semplicità quotidiana, un certo bigottismo tipico della provincia e l’idea assoluta, indiscutibile, secondo cui una donna non sarà mai davvero tale se non avrà dei figli. Questo pensiero, così inculcato nel profondo, Teresa, la madre di Donata, se lo porta fino a Torino, dove si sposa con Vincenzo “nel 1950, una domenica di settembre, nella chiesa dei Santi Angeli Custodi”. Ed è da quel momento in poi che la sua quotidianità si trasforma a poco a poco in un supplizio, un’infelicità continua, perché quei figli necessari agli occhi di tutti non arrivano. Al punto che Teresa inizia a pensare: “La domenica, poi… Inutile andare a passeggio la domenica, mettersi il vestito bello, la spilla d’oro a forma di farfalla. Che senso c’è senza un figlio”. Il tema della maternità fa riflettere eccome; anzi, a chi legge oggi queste parole e non tiene conto della distanza culturale che c’è tra questa e quell’epoca, nonché alla differenza dei luoghi in cui si cresce, certi pensieri potrebbero risultare enormemente scorretti, poiché si riduce la donna a un qualcosa che ha valore solo in quanto “fattrice”. È la mentalità del tempo, abbracciata tanto da parte femminile quanto maschile. “Sai quando il fiume si ritrova senz’acqua che non sembra più nemmeno un fiume. Quando per mesi non ci piove e vien fuori la crosta della terra tutta spaccata, che fa pena solo a guardarlo? Hai capito, Vincenzo? Hai sposato un fiume asciutto…” queste sono le parole che dice Teresa a suo marito, affossata dal senso di colpa per non essere riuscita a fare “il proprio dovere”.

Alla fine la bambina tanto attesa, desiderata, cercata arriva. Ci si potrebbe aspettare che questa sia la fine di ogni problema, l’inizio della grande gioia. Ma nella vita niente è così semplice, a cominciare dall’infanzia di Donata, che per anni vive in funzione della madre e si sente la figlia ormai inattesa scesa “dal mondo della luna” con l’idea di proteggere Teresa e regalarle la felicità che merita. Un compito alquanto arduo per chiunque, figurarsi per un animo sensibile e introverso come quello di Donata. “In effetti ho passato l’infanzia chiusa in casa, inutile raccontarla in un altro modo. Mia madre chiusa a lavorare, io chiusa perché sua figlia. Unite da una chiusura, si può dire. “Non ho tempo” era la sua frase. Ne aveva talmente poco, che a un certo punto decise di farmi tagliare i capelli, così non doveva stare ogni mattina a pettinarmi”. Potrebbe sembrare una storia d’altri tempi, eppure in quel desiderare così tanto una famiglia per sentirsi appagati e tranquilli con la coscienza, per poi scoprire che non si brilla affatto nella vocazione materna, c’è tanta, troppa attualità. Un tema cruciale del libro che fa molto riflettere.

Siamo però solo alle prime pagine, quando inizia il racconto di quella bambina che – volente o nolente – dovrà vedersela con Torino, con la scuola, con i coetanei, con i problemi dei genitori sempre troppo pesanti sulle proprie spalle e anche con l’Italia che cambia, in un quadro storico accurato e preciso. “Nella visione probabilmente distorta di Donata – ha spiegato ancora Paola Mastrocola – la madre è la vittima, colei da salvare, mentre il padre è il nemico, il privilegiato che finisce presto di lavorare e poi si rilassa senza occuparsi troppo di loro. Al di là dei ricordi falsati, penso che all’epoca fosse molto evidente agli occhi di una bambina questa disparità”.

Dunque un viaggio nel tempo che ci porta nell’Italia dei nostri nonni e genitori, seguendo sì le vicende personali di Donata – e per riflesso della Mastrocola – ma anche degli Italiani. Alla luce delle molte sfide, delle battaglie e del movimento femminista tuttora in atto, questo romanzo è prezioso perché ci ricorda da dove veniamo e chi siamo state. 

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