“7 MINUTI”. Consiglio di fabbrica, di Stefano Massini, Einaudi 2015
Di Alessandra Peluso
“7 MINUTI”, un testo teatrale, di Stefano Massini che toglie il fiato. Si ha l’impressione nel leggerlo di affrontare una decisione che non avresti mai voluto prendere nella vita, ma devi farlo.
È ambientato in Francia, negli anni ’50, nella fabbrica “Picard & Roche”, all’interno della quale si deve giungere ad un accordo imposto dai “capitani d’industria” alle operaie dell’azienda tessile.
Una situazione che spalanca scenari drammatici, nella quale senza dubbio si identificano molti operai italiani, che hanno lottato e manifestano ancora per difendere il loro diritto, il lavoro.
Leggendo il testo, sensazioni vivide si alimentano nel profondo. I dialoghi sono densi di pathos. Si legge ad esempio: «Tu, Blanche, sei di quelle che a ogni giro devono farsi domande, vero? Sei di quella razza che a ogni angolo deve sapere il nome della strada, non ti accontenti di camminare e basta, non puoi fidarti che ci sia un cavolo di marciapiedi sotto le zampe, e che da qualche parte si andrà pure a finire: deve esserci per forza il baratro dieci passi avanti?» (p. 37) e, Mirella, una delle donne della fabbrica, che afferma: «Fra i miei incubi peggiori c’è di restare chiusa in una fabbrica piena di ritratti di mia madre. Mia madre da bambina. E ho detto tutto». (p. 21).
Un’esperienza totalizzante, dunque, che depaupera di valore, la persona. Decisioni beffarde, come se qualcuno ti tendesse una mano, per gettarti dopo nel baratro.
Emerge in un dialogo a più voci in una scena fissa, un chiaro e un ingannevole scherzo del destino: una competizione generazionale, etnica, sino alla conclusione nella quale è nitida la lotta tra poveri, al cospetto di un “padrone” sempre più anonimo, cinico ed esigente, col quale prima o poi bisogna fare i conti.
È evidente un’alienazione del lavoro, un oggettivarsi, spersonalizzando se stesso in un rapporto dialettico di servo-padrone come lo chiamerebbe Hegel, mentre, Marx, capitalista-operaio. Una società capitalistica, pertanto, che sfrutta forza-lavoro, mantenendo basso il salario e aumentando il profitto, e va a rimpinguare le tasche del capitalista. Come nel “Capitale” del 1867 ad oggi il cui lavoro nelle fabbriche è estremamente difficile, e dove per uno stipendio che garantisca la sopravvivenza, le operaie - nel caso descritto dal libro di Massini - sono sole, in balia delle proprie decisioni, che non le rendono affatto libere; anzi, al contrario, sempre più schiave.
Tuttavia, non è dato sapere se l’asservimento è limitato al luogo di lavoro, la fabbrica, o al genere femminile. Donne che, non rappresentano - secondo Adam Smith - un marchio di asservimento ma un beneficio nell’incrementare il patrimonio generale di pensiero e di capacità d’azione, un miglioramento delle condizioni generali dell’unione fra uomini e donne e l’incalcolabile guadagno di felicità personale.
La regia di Stefano Massini non delude gli spettatori, lascia senza dubbio attoniti, dà adito a numerose riflessioni, crea pause di silenzio, proprio come accade leggendo il libro. Un silenzio assordante che stride con le scelte di ogni componente della fabbrica e, in conclusione, condurrà ad un risultato inaspettato. “7 MINUTI” in meno per la pausa pranzo contro uno stipendio.
Debutto dello scritto, anche nel “Teatro Arena del Sole”, il 20 novembre 2014, a Bologna, con la regia di Alessandro Gassmann.