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Marco Travaglio, il finto sinistro. Conservatore di destra e liberale

Di Giuseppe Vatinno

Quando Berlusconi lo allontanò da Il Giornale, insieme a Montanelli, si riciclò con Repubblica e l’Unità

Travaglio ha sempre fatto quello che più gli conveniva dal punto di vista economico, arrivando addirittura a passare alla sponda opposta

 

La scomparsa di Silvio Berlusconi ha dato adito a Marco Travaglio di giocare la sua parte preferita e cioè quella dell’antiberlusconismo militante che è un po’ il vero logo, la ragione stessa di esistere de Il Fatto Quotidiano e, se vogliamo, anche dei Cinque Stelle.

Senza il Cavaliere non ci sarebbero stati Travaglio e Grillo.

Dunque non ci soffermiamo più di tanto nelle contumelie che le ghiandole velenifere del giornalista hanno abbondantemente lanciato nei confronti del Cavaliere, le accenniamo appena. Alcune sono così luride da non potersi riprodurre in fascia protetta e così ci accontentiamo di quelle riportabili.

“Lutto nazionale? C’è di peggio, sette giorni di lutto parlamentare! Impazzimento collettivo!”.

“Una giornata imbarazzante di beatificazione che ha tralasciato la realtà”.

“Il porco è diventato bello” (sic).

“La Repubblica del Banana”.

“Non c’è nessuno che dice che è un pregiudicato”.

Il livello è da porcilaia (nel senso letterale del termine), adatto ai suoi lettori populisti.

Ma perché Travaglio ce l’ha tanto con Berlusconi?

Motivi ideali? Niente affatto, anzi. I due la pensavano esattamente allo stesso modo.

Si tratta solo di motivi personali.

Per cercare di capire dobbiamo risalire alla biografia del giornalista.

Travaglio nasce a Torino nel 1964 e si diploma al liceo classico dei salesiani, lo stesso ordine religioso che per una coincidenza del destino è quello dove ha studiato Berlusconi.

La sua è una piccola borghesia gianduiotta, solo che il Cavaliere ha preso 60/60 mentre il giornalista solo 58/60. Un po’ asinello.

Il padre geometra disegna treni per la Fiat.

Si laurea tardi, a 32 anni, in lettere moderne con una tesi di storia contemporanea, dopo essere diventato già giornalista collaborando con quotidiani in area cattolica, come Il nostro tempo,

Qui conosce lo scrittore e giornalista Giovanni Arpino che lo presenta a Indro Montanelli che nel 1987 lo chiama a Il Giornale, il quotidiano conservatore fondato dallo stesso Montanelli nel 1974 a Milano, dopo essere uscito dal Corriere della Sera a causa del suo spostamento a sinistra.