Poveri editori, alle prese con le giravolte degli algoritmi
Altro che digital tax... per ridimensionare i big del web, da Google a Facebook, divenuti assi pigliatutto del business dei contenuti e dell’informazione in rete con fatturati pubblicitari in crescita esponenziale a dispetto dei poveri (sempre più) editori, ci vuole ben altro di una piccola tassa sui profitti.
Sono loro, come si sa, che hanno sostituito le edicole nella distribuzione delle informazioni.
Loro, con i loro bocchettoni, sono il tramite tra i lettori e gli editori e giornalisti che producono le news facendosi carico da soli dei relativi costi.
Ci si informa nelle loro edicole digitali, si legge quel che viene diffuso attraverso i loro social e va al macero, di conseguenza e di riflesso, tutto ciò che loro mantengono invisibile e quindi nascosto, anche se è uno scoop giornalistico.
Si sono proposti agli editori come ecosistemi, in realtà erano solo e surrettiziamente dei competitor.
E per ogni euro speso in Adv online, il 70 va a loro, mentre il resto devono dividerselo editori, centri media, agenzie, ecc...
Una situazione a lungo andare impossibile da sostenere per i bilanci in sofferenza degli editori, costretti oltretutto a spendere per stare al passo con i tempi e dialogare con i robot, notoriamente stupidi.
Hanno provato ad alzare la voce contro gli algoritmi-robot istruiti a selezionare e dare visibilità e viralità ai contenuti messi in rete dai giornali. Ma ne sono usciti con le ossa rotta, nel senso che i big hanno prontamente tenuto il punto riducendo l’aggiornamento e la visibilità delle loro edicole e la diffusione attraverso le loro catene distributive social.
E gli editori si sono trovati col sedere per terra, vedendosi sgonfiare in modo terrificante le loro tirature e mettendo a rischio bilanci e coronarie.
I dati più recenti, relativi ad aprile, appena sfornati da Comescore, la società che certifica le audience online spaventano.
Una carneficina:
Quotidiano nazionale fa -12, Tgcom - 7, Fattoquotidiano - 8 (come noi di Affaritaliani), Trendonline -22, Skytg24 - 21, Il Tempo.It -14, Adnkronos -24, Leggo -23, Corriere dello Sport -9, Donna Moderna - 14, Dilei - 18, il Gazzettino -20, Ansa -16, Rainews - 34, Agi -8, Vanityfair - 14, Tpi - 33, Secolo d’Italia -26, Virgilio sport - 15, le Iene - 13, Grazia - 18, Supereva -24, Dagospia -9.
E allora, poveri editori, come se ne viene fuori da questa strage di tirature e conseguenti cali dei ricavi pubblicitari?
Dopo aver dato la mazzata, i big americani del web mostrano ora agli editori messi in ginocchio qualche contentino, con proposte di ospitalità’ e visibilità e quindi sperabilmente traffico in cui pero’ il pallino commerciale deve restare in mani loro.
E allora? E allora forse ci vuole un disarmo generale.
Vanno buttate a mare le audience da algoritmi seo e social, effimere e gonfiate con appositi accorgimenti tecnici (ogni giornale ha dovuto dotarsi in redazione di appositi esperti dei linguaggi seo e social, che ormai contano più dei giornalisti) in favore di risultati magari meno pirotecnici ma di provenienza certa, costante e garantita dalla qualità e originalità e indipendenza dei contenuti e dalla propria comunità di lettori, fidelizzati e affezionati al proprio giornale.
Meno casualità, dunque, e meno apparenza. In favore di più sostanza e olio di gomito giornalistico.
Come all’antica.
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