Inclusiva ed economicamente aperta. La "Milano a tratti" di Emmanuel Conte
A tu per tu con l’autore del libro “Milano a tratti” e Presidente della Commissione Bilancio al Comune di Milano
di Krystel Lowell per Affaritaliani.it Milano
Emmanuel Conte, da dove viene l’idea di scrivere un libro su Milano?
Più che un’idea, si è trattato di un istinto nato durate le ore libere dallo smart working a cui siamo stati costretti la scorsa primavera, o meglio il bisogno di rivivere scrivendo il mio tempo a Milano, quindi più che un libro su Milano è un racconto del mio diventare milanese senza dimenticare le mie origini, una riflessione su come Milano fuori di me è diventa Milano in me. Il desiderio, al concludersi del mio mandato come consigliere comunale e di Presidente della Commissione Bilancio, di chiarire il perché culturale di tale scelta, un modo per riconoscermi in Milano e riconoscere Milano. La passione per la politica, quella trasmessa da mio padre, ha fatto il resto.
“Milanese si diventa” è una citazione di Carlo Castellaneta che Lei usa nel Suo libero. Che cosa significa per Lei? Com’è stato il Suo percorso di inserimento in questa città?
Come ricordo nel libro, sono venuto a Milano la prima volta alla fine del secondo anno del liceo classico, insieme a Giovanni, un mio amico di Infanzia, per assistere al Concerto di Vasco Rossi in tour con Nessun pericolo...per te. Motivazione che nascosi ai miei genitori, ai quali dissi che sarei andato a Milano per visitare la “Bocconi”, per informarmi sui test di ammissione e per farmi un’idea della Città. Il mio galeotto primo “tratto” per diventare milanese è stata appunto l’università, dove mi sono laureato e ho fatto un’esperienza “tutta di un fiato, vivendo in pensione insieme a altri quattro studenti, tra i quali mio cugino Antonio”, quattro campani ed un bresciano (!). È significativo che la nostra contaminazione con Milano sia avvenuta, da emigranti “di studio”, con la sua società, con le sue strade, i suoi monumenti, una comunità sul modello multietnico della mia università, in cui “tutti erano uguali e benvenuti, a prescindere da come apparivano, da dove venivano, chi erano e chi amavano”. Un’esperienza inclusiva che ha spinto me e i miei coetanei all’intrapresa personale e professionale e che ha segnato il nostro percorso verso una milanesità di sostanza, non di forma.
Come vede la città nel post Covid? Come questa epidemia l’ha cambiata?
Come tutte le grandi città, Milano e uno degli esempi più propri di “Città Mondo” ovvero di città aperta, l’impatto con la pandemia è stato devastante. Milano, tuttavia, in coerenza con la sua storia, ha saputo resistere e reagire e, sono certo, saprà trarre da questo evento, una nuova spinta in avanti. Il Covid19 ha cambiato alcuni parametri di riferimento che attengono al vivere insieme, all’intraprendere, alla cultura ambientale, alla salute sui territori e negli ospedali. Ma Milano ha già accettato la sfida, come appare già evidente nei programmi declinati dal sindaco Sala per la Milano 2030.
Nel Suo libro dedicata un intero capitolo al Duomo di Milano. Che cosa rappresenta per Lei?
Il Duomo è per Milano, quello che sono San Pietro per Roma e Notre Dame per Parigi, esprime la Milano civile e i suoi fedeli. La prima visita del Duomo ha determinato in me un’emozione che è andata bene al di là del mio immaginario, un misto di religione e non, in cui tutto e storia e meraviglia. Non bisogna dimenticare che Sant‘ Ambrogio è stato nominato Vescovo di Milano, quando non era stato neppure battezzato.
Dalle Cinque Giornate ad oggi, Milano è sempre stata protagonista. Una sorta di città-stato in un Paese a più velocità. In che modo questa città può essere la locomotiva dello sviluppo post pandemico?
Il protagonismo storico e politico delle città medio grandi, italiane ed europee, hanno trovato la loro spinta decisiva negli anni 80/90, quando cominciò a delinearsi e a rafforzarsi, a discapito del livello regionale sempre più passivo e burocratico, quello locale e territoriale. Milano, grazie ai suoi valori e alla sua storia, è stata una delle cinque città europee che ha colto al meglio quella svolta e la sfida della modernizzazione rilanciando il modello della città di Max Weber, secondo il quale l’aria della città dà la libertà, principio che investe non solo le persone, ma il cuore stesso dell’economia. Milano è stata ed è, sotto questo profilo, e non solo, ha rappresentato un’anticipazione della città moderna, una nuova patria, in cui il costruito è un tutt’uno con il sociale, mercato e l’economia. Sarà, è facile prevederlo, certamente un attore essenziale per la ripresa post Recovery, in proprio e a livello nazionale ed europeo, favorita da una capacità imprenditrice di rendere il proprio spazio attrattivo su scala globale.
Da amministratore pubblico, dove ritiene debbano essere usate le risorse del Recovery Plan sul territorio milanese?
Occorre un Piano che sia finalizzato, unendo le risorse del Recovery e quelle ordinarie, a due obiettivi: rendere sempre più europea Milano e centrali le sue periferie, nel segno della riconversione ecologica e dell’economia circolare
Ritiene che Milano sia ancora la Capitale morale d’Italia?
Milano si è meritata questa definizione come un contro canto a quello di Roma capitale corrotta.
Ma la definizione che ne coglie l’essenza è “Città Mondo”, socialmente inclusiva ed economicamente aperta.
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