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Uber, la foto della vergogna. Il “contratto” scritto a mano

Uber, la foto della vergogna. Il “contratto” scritto a mano

Sono solo i proprietari di una “piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri”. Che agisce “nel pieno rispetto di tutte le normative locali” e condanna “ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia”. Scarica le responsabilità sui propri appaltatori di manodopera Uber Eats dichiarandosi estranea a forme di sfruttamento e caporalato sui rider. Questa la posizione del ramo italiano della multinazionale nata a San Francisco, per rispondere all'inchiesta sullo sfruttamento dei fattorini del cibo che ha portato la sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano disporre il commissariamento per un anno di Uber Italy Srl. Un provvedimento che, in punto di diritto, è emesso non contro Uber ma a tutela della stessa. “L’amministrazione giudiziaria – si legge nelle 51 pagine firmate dal Presidente di sezione Fabio Roia e dai giudici Veronica Tallarida e Ilario Pontani – non è, infatti, tanto repressiva, quanto preventiva” e volta “non a punire l’imprenditore che sia intraneo all’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane” per “sottrarle, il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti”. Una misura “posta anche a favore dell’attività imprenditoriale e della sua trasparenza” si legge in un passaggio successivo del decreto.

Tradotto: un'impresa sana, o al massimo negligente, infiltrata da dinamiche quantomeno discutibili. Dinamiche discutibili ben esemplificate da una delle immagini simbolo dell'inchiesta: un pezzo di carta ritrovato dai magistrati di Milano, scritto a penna e spacciato per contratto di lavoro, dove si legge: “Accordo di collaborazione occasionale: € 3 netti X consegna. Ricevo borsa di lavoro in caso di perdita o rottura verranno addebitati € 80.00 (valore materiale)”. Data e firma.

Non ci stanno però gli attuali indagati – tutti coinvolti nella gestione delle società Flash Road City e FRC Srl, società a conduzione poco più che familiare fornitrici di manodopera e servizi per conto di Uber e dei suoi clienti – a passare come mostri e schiavisti. Così due di loro – Danilo Donnini e Giuseppe Moltini – hanno fatto recapitare già a febbraio, attraverso i propri legali, una memoria difensiva ai magistrati meneghini. Corredata di contratti di fornitura allegati e 107 pagine di chat intercorse fra 2018 e 2019 con manager e funzionari di Uber Italy. Una stranezza visto che la multinazionale ha fatto sapere ai giudici che le “relazioni commerciali sono gestite da Uber Portier B.V. (la casa madre con sede in Olanda, NdR) e non da Uber Italy Srl. Tuttavia, potrebbero esserci state interazioni secondarie con alcuni dipendenti di Uber Italy srl”.

Nel memoriale si legge un'altra versione della storia: non sono loro – sostengono – ad aver mai bloccato un rider dalla piattaforma (“non ne avevamo la possibilità e lo strumento”) e “al contrario Uber ci imponeva con vere minacce di toglierci clienti o città e di rispettare il loro “Forecast” che ci veniva indicato settimanalmente”.

“Ci hanno sempre imposto loro il valore per consegna che ci veniva poi liquidato” scrive Danilo Donnini riferendosi ai manager italiani di Uber Walter Bonifazi, Daniele Cutrone, Gloria Bresciani e Roberto Galli. “Mai e sottolineo mai, siamo stati pagati con altri parametri, quali la distanza delle corse, la tariffa notturna (che per altro nessun’altra piattaforma paga) o quella festiva”. Come del resto per il consulente logistico e risorse umane di Flash Road City e FRC Srl “la procedura del pagamento a cottimo derivava dal fatto che Uber ci pagava nello stesso modo. Tuttavia in città come Roma, Bologna o Firenze abbiamo corrisposto ai ragazzi, per lunghi periodi (a Roma quasi sempre) un pagamento orario con l’aggiunta ulteriore di bonus. Più e più volte ci siamo lamentati con Uber affinché aumentassero il valore delle consegne, ma tutto è stato inutile, anzi, nel corso del tempo tale tariffa è sempre più diminuita in tutte le città”.

Non finisce qui. Secondo gli indagati Uber impone anche l'apertura di una nuova società. Che servirà, con la flotta esterna di riders, alcune grosse catene e ristoranti stanchi di avere a che fare con centinaia o migliaia di fattorini diversi ogni mese. È il caso per esempio di Mc Donald’s, Panino giusto, Poke House, Burger King. Nasce così la FRC Srl. Anche e soprattutto “per ratificare gli accordi con McDonald’s” che voleva “un unico metodo di fatturazione” fa mettere nero su bianco l'indagato. Aggiungendo come il colosso dei fast food rappresenti il 70 per cento del fatturato di Uber. Così facendo “i ragazzi che collaboravano con noi avevano la possibilità, sebbene guadagnassero leggermente meno a consegna (noi pagavamo 3 euro netti - 3,75 lordi a chi usava la bici e 3,50 netti – 4,37 lordi per i motorizzati, mentre Uber paga ancora oggi una media di 3,30 netti a corsa circa) di fare molte più consegne, in quanto avevamo in esclusiva i migliori clienti”.

Ma Danilo Donnini segnala un'ulteriore curiosità: “Per poter effettuare consegne per tale azienda fummo ancora una volta costretti a sottoscrivere una polizza assicurativa con massimali da 5 milioni per cautelarsi verso eventuali attentati terroristici causati dai riders della nostra flotta e da 2 milioni sulla responsabilità civile”.

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