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Milano, 10 mag.(Adnkronos) - Una cinquantina di chef professionisti, in divisa bianca, provenienti da tutta la Lombardia, è riunita davanti alla sede della Regione, in piazza Città di Lombardia, per dare vita a un presidio di protesta e chiedere indicazioni certe per la ripresa del comparto."Servono date certe per poter organizzare la ripartenza del settore, duramente colpito dalla pandemia", spiega all'Adnkronos Fabrizio Camer, presidente dell’Associazione cuochi bergamaschi che rappresenta circa 300 imprese della provincia. "Rivendichiamo il diritto di tornare a lavorare perché se potessimo essere messi in condizione di farlo, saremmo certamente in grado di raddrizzarci". Del resto, "gli aiuti che si sono stati promessi non sono sufficienti ad andare avanti e molti di noi sono stati costretti a chiudere e cercarsi un altro lavoro". Ciò che rattrista, aggiunge, è che "il 30 per cento dei nostri collaboratori più validi è andato a lavorare per aziende anonime, buttando di fatto la propria professionalità nel cestino". In un anno e mezzo di pandemia, "abbiamo perso tre stagioni e tanti lavoratori, che sono rimasti senza lavoro e senza stipendio". Nella migliore delle ipotesi, "con la cassa integrazione, chef che normalmente guadagnavano 2.500 euro al mese, sono riusciti a prendere 800/1000 euro; c'è una distonia in tutto il sistema che è pazzesca". E non è tutto: "I magazzini sono strapieni di prodotti che abbiamo già pagato, ma non abbiamo utilizzato; alcuni si sono deteriorati, altri sono stati cestinati o regalati". I soldi che "ci sono stati prestati, perché di prestiti si è trattato, sono serviti giusto per pagare le utenze", anche perché "mantenere attiva la corrente costa migliaia di euro al mese e non possiamo farla sospendere perché per riattivarla poi ci vorrebbero dei mesi". Con "questo tira e molla di regole, aprite e chiudete -osserva Camer- non sappiamo più come organizzarci: le incertezze ci hanno portato ad avere grosse difficoltà: non voglio polemizzare per forza, ma devo dire che siamo stanchi e arrabbiati perché ogni volta ci ritroviamo il venerdì a sapere cosa dobbiamo fare il lunedì successivo". Ma "per poter riaprire un bar dopo la chiusura servono almeno sette giorni, quindici per un ristorante e addirittura un mese per un albergo". Senza contare la componente stress: "Io -confida- è un anno e mezzo che non dormo; ho dovuto chiudere già due ristoranti e la situazione con i dipendenti da gestire è folle. Ci ritroviamo in mezzo ad un mare in burrasca e non sappiamo dove andare perché non riusciamo a trovare il faro".





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