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Roma, 25 set. (Adnkronos Salute) - Il perentorio 'smetti di fumare o morirai' con cui alcuni medici cercano ancora di convincere i pazienti sui rischi correlati alle sigarette "non funziona e va cambiato". E' il suggerimento di David Khayat, ex presidente del National Cancer Institute e responsabile dell'Oncologia medica al Clinique Bizet (Parigi), nel suo intervento alla seconda e ultima giornata del terzo convegno - l'anno scorso svoltosi ad Atene e quest'anno online per la pandemia Covid-19 - 'The Scientific Summit on Tobacco Harm Reduction' promosso dall'Università di Tessalonica e dall'Università di Patrasso in Grecia. "Come dottore non posso accettare 'smetti o muori' come l'unica scelta che si offre ad un paziente fumatore; ricordo che il 64% di quelli con una diagnosi di tumore continua a fumare - aggiunge l'oncologo - Alcuni Paesi hanno abbandonato la strategia 'smetti o muore' e introdotto dispositivi a rischio ridotto nelle politiche di controllo del tabacco ottenendo risultati". "Nel 1990 il primo fattore di rischio per il cancro riconosciuto a livello mondiale era il fumo, nel 2017 è ancora il fumo - ricorca Khayat - Le sigarette tradizionali contengono oltre 6mila sostanze chimiche e particelle ultrafini, 93 di queste sono nella lista della Food and drug administration (Fda) come potenzialmente dannose, la maggior parte, circa 80, sono cancerogene o potenzialmente cancerogene. Questi rischi aumentato nel processo di combustione rispetto al riscaldamento". La comunità scientifica e medica quindi "dovrebbe svolgere un ruolo più forte nel convincere i responsabili politici a riconsiderare e innovare le strategie di controllo del tabacco", precisa l'oncologo. "Serve però accettare il fatto che alcuni livelli dei nostri cattivi comportamenti sono inevitabili - osserva Khayat - L'obiettivo deve essere quindi di minimizzare i danni che le persone subiscono come conseguenza di scelte poco salutari e non limitare i loro comportamenti perché questo significa limitare la liberà e non è una strada percorribile. I medici, che spesso non forniscono le evidenze scientifiche ai loro assistiti sulle scelte migliori - conclude - devono cambiare paradigma e mettere il paziente al centro. Come professionisti lo dobbiamo ai nostri assistiti".





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