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Politica
A Milano anche il professor Carlo Formenti col Partito Comunista di Rizzo

Nasce il 25 settembre 1947, a Zurigo. Laureato in Scienze Politiche con una tesi di Sociologia del Lavoro. È dirigente sindacale dal 1970 al 1973. Nel 1980 inizia la carriera di giornalista come caporedattore del mensile culturale Alfabeta. Nel 1989 entra nella redazione dell’Europeo e l’anno successivo si trasferisce al Corriere della Sera. Nel 2002 inizia a insegnare Teoria dei nuovi media presso l’Università di Lecce. È in pensione dall’ottobre del 2013

La fine del valore d’uso, Feltrinelli, Milano 1980; Incantati dalla Rete, Cortina, Milano 2000; Felici e sfruttati, Egea, Milano 2011; Utopie letali, Jaca Book, Milano 2013; La variante populista, DeriveApprodi, Roma 2016; Il socialismo è morto. Viva il socialismo (Meltemi 2019)
 

Professore, pur essendosi sempre dichiarato comunista, lei non è mai entrato a far parte di un partito politico. Come mai, a 74 anni, ha accettato di presentarsi come capolista per il Partito Comunista alle elezioni comunali di Milano?

Perché sono convinto che il nostro Paese, come gli altri Paesi occidentali, stia vivendo un’epoca drammatica, in cui, esaurita la fase storica della globalizzazione, il capitalismo in crisi serra le fila, avventurandosi in una nuova guerra fredda e liquidando la democrazia nei singoli stati nazionali. Basti vedere lo stato di eccezione permanente (consolidato attraverso la gestione della pandemia) in cui l’Italia vive da almeno vent’anni, con il progressivo esautoramento di Parlamento e partiti, e il succedersi di governi non eletti democraticamente e guidati da “tecnici” come il banchiere Draghi. In questa situazione, occorre fare di tutto per mantenere aperto uno spazio di opposizione reale. Di qui la mia decisione, anche perché le prossime elezioni, pur essendo amministrative, coinvolgono un quarto dell’elettorato, per cui assumono chiara valenza politica.

Ma perché scegliere proprio il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo, visto che alle elezioni si presentano diverse altre formazioni che di dicono comuniste?

Ho scelto il PC perché ne condivido le posizioni su alcuni temi che considero dirimenti. In particolare, apprezzo la posizione del partito sulla Cina: laddove altre forze della sinistra cosiddetta antagonista considerano la Cina un Paese imperialista e la mettono sullo stesso piano degli Stati Uniti, il PC ne riconosce giustamente il carattere socialista – sia pure non ignorandone limiti e contraddizioni che del resto gli stessi cinesi riconoscono – e il ruolo di baluardo (assieme ad altri Paesi socialisti come Vietnam, Cuba, Venezuela e Bolivia) contro il tentativo degli Stati Uniti di imporre il proprio dominio sul mondo intero.  Condivido inoltre la decisa opposizione del partito nei confronti della Nato e di una Ue costruita per comprimere sistematicamente e programmaticamente i diritti, i redditi e le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini dei Paesi membri.

Questi sono temi di carattere generale, squisitamente ideologici che, probabilmente, interessano poco la maggioranza degli elettori milanesi. Cosa pensa possa fare il PC per migliorare concretamente la vita di una metropoli come Milano, all’avanguardia in tutti i campi rispetto ad altre città italiane?

Mi permetto di contestare questo giudizio. Negli ultimi decenni Milano è stata all’avanguardia solo nel condurre una spietata guerra di classe contro i lavoratori, escludendoli progressivamente da un centro storico sempre più gentrificato, riservato alle classi medio alte.  Dietro la maschera di culla della modernizzazione, dei diritti individuali, della cultura, della tecnologia avanzata, delle professioni creative e dei consumi opulenti, si nasconde ben altra realtà. Basti pensare al grattacielo bruciato come un cerino perché chi lo ha costruito non ha utilizzato materiale ignifugo, vero simbolo di decenni di speculazione immobiliare selvaggia;  alle condizioni imposte alle migliaia di lavoratori della gig economy, ai migranti addetti ai servizi alla persona, ai lavoratori precari, part time e saltuari che tengono in piedi il terziario “avanzato”, vanto della metropoli della moda, del design, della comunicazione. Senza dimenticare i limiti drammatici che la presunta sanità “di eccellenza” ha messo in mostra durante la pandemia, o a quelli di un sistema educativo che si sta riconvertendo in serbatoio di ricambio delle élite, espellendo i figli delle classi subalterne e adottando programmi funzionali alla trasmissione del pensiero unico liberale. Per tacere delle periferie, che affondano nel degrado. Nel programma elettorale del Pc non ho trovato un libro dei sogni, bensì proposte concrete e attuabili per risolvere questi e altri problemi e, se aggiungiamo che sono convinto che l’unico modo per riaprire uno spazio di democrazia reale sia rilanciare il conflitto sociale, mi pare di avere spiegato le ragioni per cui ho accettato di impegnarmi in questa campagna elettorale.

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