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Politica
Ballottaggi, tramonto di sinistra e Pd.Perché perdono nella provincia profonda

Qualcuno ha parlato di caduta dell'impero: la Toscana, l'Emilia, parte dell'Umbria che si sbriciolano passando alla Lega e ai 5 Stelle, dopo 70 anni di dominio assoluto. Altri di crisi profonda dei gruppi dirigenti della sinistra, fatti di quinte linee diventate leader ma rimaste impreparate e impresentabili. Si potrebbe parlare di visione deformata della politica: i gruppi dirigenti del Pd hanno confuso l'amministrazione del potere e tutte le responsabilità che comporta con la smania di potere. C'è chi imputa il collasso della sinistra all'onda lunga del populismo di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio che hanno dato la spallata definitiva ai vecchi gruppi dirigenti e risposte nuove a problemi atavici.

Sarà, ma il collasso generale della sinistra da Massa a Terni, Pisa, Siena, Avellino, Imola non è la geografia di una disaffezione o la fine di un ciclo storico: rappresenta la crisi della provincia italiana profonda, lontana dai riflettori dei dibattiti televisivi. Imprese che chiudono, banche che non danno credito, disoccupazione esplosiva, debiti strutturali delle famiglie, mancanza di prospettive, nessuna idea del futuro e sopratutto un'implosione senza alternative dell'economia accartocciata su se stessa da quasi un decennio. Parlare di povertà in modo generico serve a poco, il tema va declinato nei territori e la provincia italiana è la cifra per capire i risultati degli ultimi mesi. 

tramonto Pd
Ironie della rete sulla crisi del Pd e della sinistra italiana

Nel 2017 a Massa la disoccupazione è arrivata al 16,6%, portando la città delle cave a posizioni simili al più profondo Sud. Oltre la crisi del marmo e del granito, lavorato e grezzo, in 10 anni hanno chiuso nel comparto edilizio 540 imprese e 853 imprenditori artigiani. Per i giovani tra i 15 ed i 29 anni il tasso di disoccupazione è salito al 48,9%.

Anche a Terni è salito al 49% dal 16% nel 2004. Crisi profonda per le costruzioni, con un emorragia di imprese, -632 (il 25% in meno) e la perdita di ben 2500 posti di lavoro. Nel manifatturiero -332 imprese e la perdita di 3650 posti di lavoro, come nel settore artigianato, dove le imprese diminuiscono di 281 unità e 1700 posti. Pisa si difende meglio dal resto della Toscana con perdite minori di qualche punto rispetto alle media regionale. Ma la musica non cambia. Come dimenticare il tracollo del feudo di sinistra Monte Pasqui di Siena e le conseguenze nefaste sui soci e su tutta la provincia o la chiusura dei due colossi cooperativi mondiali di Imola, Coop Cesi costruzioni e Coop 3 Elle, che hanno colpito pesantemente la cittadina romagnola e i lavoratori.

La breve carrellata di queste città rappresenta la cartina al tornasole della provincia italiana e ne è la parte più sana perché queste città hanno ancora settori trainanti (vedi la Thyssenkrupp a Terni, tutto il mondo della meccanica e coop a Imola, il polo tecnologico pisano, il turismo senese, ecc...)

Ma nella provincia più profonda l'economia è in uno stato di stasi e le disuguaglianze sociali, tanto decantate a sinistra, si sono trasformate in esclusione totale senza prospettive.

Ci sarà anche stata una tiepida ripresina ma l'Italia non è solo Milano, Roma e le grandi città. Basta chiedere, basta frequentarla la provincia profonda per capire.

“Se non ci fossero i nostri pensionati saremmo tutti morti”, mi dissero qualche anno fa a Massa. “C'è un po' di commercio, il Comune e poco altro”, è il refrain che si sente nel torinese, in Umbria, nel livornese o nel viterbese, nelle Marche. Un malessere diffuso che ha assunto una forma strutturata. L'economia che circola nella provincia profonda è quella di migliaia di pensionati, (quella generazione che ha pagato i contributi in una fase in cui l'economia tirava) e dei lavoratori dei settori pubblici e indotti vari (la pletora di impiegati che lavora nei servizi). Per il resto è un deserto difficile da recuperare. Settori industriali volatilizzati, micro imprese che faticano a sbarcare il lunario e uno Stato che spesso è il nemico ad ogni forma di dinamismo.

Ma i gruppi dirigenti di questo Paese che costruiscono l'opinione pubblica nelle tv e sui giornali hanno parlato per anni dell'evasione fiscale, della discriminazione delle minoranze, dei problemi degli immigrati, del riscaldamento globale, dell'importanza delle regole europee, della povertà nel terzo mondo (quando sotto casa i vecchietti rovistano nei cassonetti della spazzatura per cercare da mangiare). Vivono in ambienti protetti e separati da questa Italia profonda e ferita a morte. Oggi vorrebbero anche rigenerare la sinistra con un allargamento delle alleanze, un'apertura dei fronti oltre il Pd, con un ritorno ad una specie di Ulivo di prodiana memoria: una sorta di maquillage senza sapere bene che fare e perché.

La provincia profonda vive una crisi senza rimedio a cui i politici e gli opinion maker pensano difficilmente. E sarà questa crisi e la sua economia il banco di prova del governo giallo-verde.

Se non si vedranno cambi di rotta la provincia profonda è destinata lentamente a sovrapporsi alla condizione storica del Sud Italia. Negli anni novanta anche lì si iniziò così, con una graduale desertificazioni delle attività produttive di un'area già profondamente malata. Restarono in piedi alcune eccellenza che poi nella desolazione economica del territorio sono entrate in crisi perlopiù chiudendo o restando come cattedrali nel deserto.

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