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Politica
Brunetta ministro, pro e contro. Non tutto da buttare ciò che ha fatto

CHE COSA C'E' DI BUONO E MENO BUONO IN BRUNETTA.

Certamente l’elenco della lista dei ministri, proposta da Draghi, ha seminato stupore e perplessità. E al netto delle ragioni, che lascio ai più esperti commentatori politici, ciò che ha destinato preoccupazione, soprattutto nel numeroso e variegato mondo delle pubbliche amministrazioni, è il ritorno di Renato Brunetta alla guida della “funzione pubblica”.

Il personaggio, certamente, non brilla per simpatia e ha lasciato dietro di sé una "riforma" a cui, dal 2009 a oggi, cerchiamo di rimediare. Ma davvero, ciò che ha fatto Brunetta è tutto da buttare via? Prima o dopo di lui ricordiamo Ministri che hanno segnato cambiamenti importanti?

A dire il vero, a parte Massimo Severo Giannini, che azzardò delle proposte coraggiose con il suo famoso “rapporto” del 1979, e Franco Bassanini che assestò una scossa, anche infelice per alcuni aspetti, non vengono in mente altri statisti di particolare rilievo. Persino personaggi di chiara fama e sicura competenza che hanno rivestito quel ruolo, non hanno brillato per interventi memorabili.

Qualcuno ha persino pasticciato l'introduzione dell'accesso civico all'interno di una norma sulla trasparenza, invece che in quella sull'accesso. Qualcun altro viene alla memoria per la sola priorità dell'introduzione della rilevazione delle impronte digitali, fortunatamente abortita. E l'ultimo ministro, nessuno me ne voglia, è riuscita a pasticciare persino sulla introduzione dello smart working che le condizioni di emergenza avrebbero reso facile.

Senza che lo si intenda come elogio, Renato Brunetta, in qualche modo ci lascia una "riforma", sicuramente discutibile, ma che possiamo definire centrata sui temi, ma azzardata sulle soluzioni.

Si deve a Brunetta l'introduzione della "trasparenza amministrativa" che, senza dubbio alcuno, ha rappresentato un beneficio per tutti, al netto delle contraddizioni successive. Si deve a lui, a torto o a ragione, la definizione in modo più netto degli ambiti della responsabilità dirigenziale e soprattutto quelli della contrattazione sindacale. Ma non si può negare che ciò che di cattivo si attribuisce alle organizzazioni sindacali, spesso è dovuto all’incapacità datoriale di chi preferisce negoziare su ogni cosa, piuttosto che esercitare in modo consapevole il proprio ruolo.

Si deve a Brunetta la rivisitazione del sistema di valutazione e di quello premiale, anche se su questo, non possiamo nasconderlo, è stato consigliato davvero male. Chi ha scritto il sistema di valutazione ha sbagliato per inesperienza e per supponenza. Ha utilizzato lo strumento “rigido” legislativo, invece che regolamentare, quindi più flessibile e più adatto per introdurre metodologie. Con quel sistema si è preteso di promuovere l'efficienza mediante l'adozione di un "sistema premiale", come se si dovesse essere premiati per compiere il proprio dovere, che si è subito rivelato inapplicabile e assolutamente non funzionale o persino inutile e costoso. Peraltro, si è preteso di introdurre sistemi di "misurazione" in un ambito, come le pubbliche amministrazioni, in cui si "maneggiano" valori e non interessi e non si realizzano "prodotti", ma sistemi di regolazione sociale.

E a tutti rimane impressa l’ossessione del ministro nella ricerca dei “fannulloni”, con l'introduzione di sistemi di sanzioni e licenziamenti che non hanno prodotto alcun miglioramento dell'efficienza, nè si ha notizia di fannulloni licenziati.

Però quella riforma, come tutte le iniziative riformatrici, in contesti complessi, dalle abitudini radicate e dalle protezioni forti, ha qualcosa di buono e qualcosa di cattivo. Per dirne una, ha avuto il merito di avere messo al centro del sistema la "programmazione" e la "rendicontazione" e introdotta la “performance organizzativa”, intesa come risultato complessivo, di cui molto poco si parla, ma che sarebbe opportuno riscoprire.

Peraltro non è da trascurare il fatto che porta la firma di Brunetta, insieme agli altri ministri, il disegno di legge del 2010 che due anni dopo diventerà la “legge anticorruzione”, chiamata Severino per il Ministro del tempo. Ad onor del vero, il disegno di legge era strutturato in modo più organico, prevedeva l’attivazione dei controlli interni, promuoveva la nascita di una “rete di pubbliche amministrazioni” e non prevedeva l’ANAC.

Ma soprattutto c'è una cosa che ricordo con piacere del periodo Brunetta: la riforma della pubblica amministrazione fu anticipata ben sei mesi prima dell’approvazione. La bozza di quello che diventerà il decreto legislativo 150/2009 fu inviata a tutti, persino negli aggiornamenti, che erano numerati fino a superare la trentesima versione. Era la prima volta che un Governo si preoccupava si rendere noto a tutti il testo della riforma che stava elaborando.

Se il nuovo ministro vorrà, come è giusto che sia, mettere mano alla riforma della pubblica amministrazione, ci auguriamo che lo faccia, ancora una volta, condividendo il suo lavoro e possibilmente attivando canali di interlocuzione.

E spetterà a chi di noi opera in quel mondo partecipare attivamente, perché... (non me ne voglia chi preferisce vivere di critiche e contestazioni) dobbiamo fare in modo che il Paese esca dalla trappola della costante contrapposizione e si apra al dialogo sociale e istituzionale.

 

 

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