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Politica
Alemanno, quei legami con i fascistoni mai recisi

Tre aspetti vanno evidenziati alla luce dei primi riscontri sulla fondatezza di alcune delle pesanti accuse, mosse dai magistrati ai capi della ingorda cupola bipartisan politico-affaristica, presunti responsabili del nuovo "sacco di Roma".

1) In attesa dei risultati dell'inchiesta giudiziaria, sono già evidenti le responsabilità, politiche, di Gianni Alemanno e di alcuni suoi collaboratori, nel periodo della Sindacatura dell'ex ministro dell'Agricoltura. Il primo cittadino fu solo distratto e sbagliò a fidarsi dei suoi assistenti  ? E' difficile crederlo.

Il nodo, politico, sta nell'incapacità o, meglio, nella inesistente volontà non solo di Alemanno, ma di non pochi esponenti, provenienti dalla destra neofascista di Almirante, una volta entrati nella "stanza dei bottoni", di nenniana memoria, di recidere gli stretti legami con personaggi inquietanti, come Carminati e tanti ex camerati neri.

I politici ex MSI non misero alla porta, evidentemente temendoli, uomini, che riemergevano da un passato cupo, contrassegnato da sprangate ai "rossi" e da contiguità con fugure coinvolte in azioni criminali e terroristiche.

E, forse, gli ex "nemici" dei neofascisti, cioè gli ex comunisti, a loro volta sdoganati, dopo la caduta del Muro di Berlino, e assurti a responsabilità di governo, archiviarono, troppo frettolosamente, gli ingombranti passati dei neri, spinti dall'aspirazione ad essere, a loro volta, liberati dall' identificazione con l'attività   del vecchio Pci, che fu dipendente, politicamente e finanziariamente, da Mosca.

2) Dal momento che non si può lasciare, sempre e solo, alla magistratura il compito di fare pulizia, il nuovo capitolo del romanzo criminale di Roma fa emergere l'acquiescenza, quando non la condivisione, di larghi settori dell'opposizione di sinistra alla gestione delle giunte di destra. Un "consociativismo alla romana" evidenziata non solo dalla foto del ministro Poletti, a tavola con Alemanno, Buzzi e alcuni dirigenti locali del PD.

Forse, prima degli arresti e delle perquisizioni, ordinate dal procuratore Pignatone, anche i media, in primis quelli di Roma, avrebbero dovuto essere più attenti e rigorosi, non lasciando cadere i primi allarmi. "I quattro re di Roma" : era il titolo di copertina di un numero de "L'Espresso" del dicembre del 2012, che pubblicò inchieste documentate sul perverso intreccio tra criminalità, affarismo e protezioni politiche.

E non più tardi di 15 giorni fa Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, è stato molto chiaro, parlando di "infiltrazioni mafiose, radicate a Roma da almeno 30 anni", aggiungendo : "Non si tratta di infiltrazioni esterne. Hanno fortissimi interessi e precisi personaggi di rifermento : capi, complici, riciclatori".

3) Quanto al ministro Poletti, "attovagliato" con il Gotha politico-affaristico del "mafia e magna" romano, non si può, come ha osservato Pierone Sansonetti, condannare l'uomo di governo per un'abbuffata con "gentiluomini" alla Buzzi. Ma le foto, come le parole, sono pietre. E sarà difficile per gli elettori, in primis quelli del PD di Matteo Renzi, rimuovere e archiviare  quella immagine, che ben rappresenta la cupola bipartisan dei nuovi "lanzichenecchi",  presunti responsabili del "sacco di Roma".

Pietro Mancini

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