Coronavirus, l'Italia si è fatta trovare impreparata: ecco gli errori commessi
Coronavirus, gli errori dell'Italia. Da tamponi e mascherine (non si è imparato da quanto visto in Cina) ai cittadini abbandonati a se stessi. E i protocolli...
Di fronte al rischio di un’epidemia, i possibili scenari sono sostanzialmente due. Il primo, positivo, consiste nel verificarsi di pochi casi, prontamente isolati. Il secondo, critico, vede numerosi casi che ne generanno altri, in maniera assai difficile da controllare. Non esistono vie di mezzo.
Per diverse settimane, l’Italia si è trovata nel primo scenario, quello fortunato: mentre i pochi casi in arrivo dall’estero venivano prontamente isolati, politici e governanti ci assicuravano che il Paese era prontissimo ad affrontare l’eventualità di uno scenario del secondo tipo, ovvero un epidemia diffusa. A partire dallo scorso venerdì, questo secondo scenario si è verificato per davvero. Eravamo davvero così pronti come ci hanno raccontato? Capirlo è fondamentale. Non per trovare i colpevoli – non è questo il momento – ma per tentare di correre ai ripari, ove è ancora possibile farlo.
Tamponi e mascherine: non si è imparato da quanto visto in Cina
In Lombardia si fanno troppo pochi tamponi e i risultati arrivano dopo giorni, sebbene sarebbe fondamentale averli in poche ore. Questo perché i laboratori abilitati sono troppo pochi, nonostante abbiamo avuto oltre un mese per prepararci. Notare che una buona percentuale dei tamponi risulta positiva, per cui non si tratta di esami inutili, come adesso si vuole far credere.
Mancano mascherine e disinfettanti in supermercati e farmacie, in quanto non ne era stata approntata una riserva strategica, come invece si fa per i carburanti. Sarebbe bastato vedere qual è uno dei principali problemi in Cina, per porvi rimedio in anticipo. Invece, persino i medici di base sono costretti a visitare senza dispositivi.
I cittadini sono abbandonati a se stessi
Non sono stati predisposti un sito web e canali social ad hoc per gestire un eventuale emergenza: chi ha bisogno deve per forza telefonare. Nonostante il picco di chiamate fosse scontato, non è stato messo in atto un piano per potenziare adeguatamente i centralini, cosicché le persone rimangono ore in attesa, abbandonate a se stesse. In mancanza di un piano pre-concordato, i numeri informativi si moltiplicano (ciascuna regione si fa il suo) aggiungendo il caos al caos.
Non ci sono protocolli e strategie già stabiliti, si naviga a vista
Per mettere in quarantena il focolaio è stato necessario attendere i tempi tecnici di un Decreto ex novo. Questo decreto andava fatto nelle settimane procedenti, così da essere già “pronto all’uso”, in caso di necessità, senza perdere 24 ore in piena emergenza. In mancanza di protocolli definiti, la gestione dei focolai è completamente improvvisata. Le zone sono state per giorni un colabrodo e chi ci vive è abbandonato a se stesso.
I medici di base non sanno che fare e nessuno dà loro risposte. Visitare senza equipaggiamento, o violare la legge e fare certificati di malattia a distanza?
Anche chi presenta i sintomi dell’infezione è abbandonato a se stesso, in attesa che qualcuno risponda ai numeri di telefono intasati da giorni.
Persino gli ospedali navigano a vista, in quanto non sono mai state definite procedure ad hoc per gestire uno scenario di questo tipo (o, se definite, non funzionano)
Governatori, Ministri e Sindaci – invece che occuparsi di gestione dell’emergenza – perdono ore a litigare sulle nuove restrizioni da stabilire, in un clima di totale caos. Le strategie andavano definite in anticipo, lasciando alla fase dell’emergenza la sola applicazione.
Manca un piano ad hoc per gestire un eventuale epidemia interna alle carceri. Anche in questo caso, se succede, si dovrà navigare a vista.
A questo punto, sarebbe doveroso spiegare al Paese in che cosa era consistita la grande preparazione delle scorse settimane. Cosa si era fatto, a parte quattro chiacchiere? Su che scenari si era lavorato? Qual è il motivo per cui ciascuna delle cose di cui sopra non sta funzionando, se davvero eravamo tanto ben preparati? Soprattutto: cosa si può ancora fare, affinché la situazione migliori e gli stessi errori non si ripetano nelle regioni del sud? Sono tutte domande cui attendiamo risposta.
F. Bonatti
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