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Politica
Elezioni/ Uno spettro s’aggira per le Marche: i comunisti

Contro l’Unione Europea dei monopolisti e per l’alleanza sociale dei lavoratori. Rinati grazie ad un appello dal basso tornano i comunisti. E ora vogliono prendersi la Regione con Fabio Pasquinelli

 

 

 

Sono operai, disoccupati, precari, operatori culturali, artigiani, piccoli imprenditori, liberi professionisti che pagano maggiormente il prezzo di una crisi economica accelerata dall’emergenza sanitaria. Hanno firmato il primo appello online per una Lista Comunista! che li rappresenti “davvero in discontinuità con i due brand dell’odierno “marketing elettorale padronale”: da una parte  “la destra dei sovranisti di cartone, che mettono in soffitta la sovranità popolare per prendere ordini dall'imperialismo USA e dal capitalismo multinazionale, dall’altra il marchio della "moderna sinistra", “asservita a Maastricht e pronta a svendere l’Italia e le Marche in ossequio dei dogmi neoliberisti dell’Unione Europea e della BCE, responsabile dell'opera ultradecennale di distruzione dei  salari, dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale”. A guidare questa rivolta contro quella che chiama la “dittatura del capitalismo globale che proletarizza il ceto medio e vessa i salari dei lavoratori con la complicità delle differenti correnti, di destra, di sinistra, di centro, gialloverde e giallo-piddina  del PUL il partito unico liberista“ è Fabio Pasquinelli, avvocato trentanovenne candidato alla guida della Regione Marche sotto lo storico simbolo del lavoro, la falce e il martello.

 

 

Che significa oggi essere comunisti?

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Significa stare dalla parte di quelli per cui la vita è fatica.  Solo da li può nascere la voglia di ribellarsi contro un capitalismo finanziario  cieco e globale  che sfrutta una marea di  lavoratori. Noi siamo  gli unici a stare dalla loro parte. Dalla parte dei giovani precari, di  dipendenti e liberi professionisti, di chi lavora dieci o dodici ore al giorno non riuscendo  comunque ad arrivare alla fine del mese,  degli agricoltori strangolati dalle aste al ribasso della grande distribuzione,  degli artigiani che soffrono il sistema forzato della competizione internazionale dei malati in lista d’attesa che hanno diritto a una sanità pubblica, non svenduta, come avviene anche nella nostra Regione, agli interessi privati. Significa battersi per un’alleanza sociale contro alleanze politiche nate semplicemente a beneficio delle classi dirigenti. Le faccio un esempio.  Dietro un apparente civismo dei buoni sentimenti si sta organizzando, con una candidatura autonoma, una pseudo-sinistra  cattolico- liberal- arcobaleno che ha tra i suoi promotori uomini  d’apparato, esponenti di partiti  entrati nel governo Conte 2 con PD e 5 stelle. In sostanza sono la stessa cosa di chi ha il potere nelle Marche e nel Paese ma dicono di essere il cambiamento. Loro ricalcano l’esistente, noi vogliamo iniziare tutta un’altra storia. Loro candidano un  filosofo di Civitanova  Marche che interpreta  il mondo, noi stiamo con un altro filosofo,  di Treviri, Marx, lui il mondo voleva cambiarlo e trasformarlo a vantaggio delle classi lavoratrici. Ecco perché l’unica strada da seguire non sono le ciambelle di salvataggio per vecchie nomenklature in cerca di futuro ma le alleanze sociali con i soggetti produttivi reali: gli operai, gli studenti, i lavoratori autonomi, gli agricoltori, gli artigiani, i commercianti ed i piccoli imprenditori. E’ urgente unire le forze, unire le lotte sociali, di settore  alla lotta politica generale, per resistere ed invertire concretamente  la rotta prima che sia troppo tardi.

 

Non mi sembra una visione ottimistica
A differenza dei miei avversari politici che raccontano la favoletta della futura distribuzione di soldi a pioggia dall’UE senza dire che saranno a debito, io sono realista e non inganno nessuno. So che la condizione generale della classe dei lavoratori è profondamente mutata in peggio.  E  non è stata, come racconta la vulgata prevalente, una fatalità. Dall’89 ad oggi al progressivo smantellamento delle tutele giuridiche e sociali si è accompagnata una drastica riduzione dei salari, che ha  aperto la fase storica della globalizzazione capitalistica. Gli effetti più negativi di questo processo si sono determinati nello spazio economico e sociale dell’Unione Europea, soprattutto con riferimento ai paesi aderenti al sistema della moneta unica, laddove, nei primi anni di adozione dell’Euro, l’inflazione è stata imponente, con un aumento generalizzato dei prezzi di tutti i beni di consumo  che ha avuto feroci conseguenze unitamente alla diminuzione delle buste paga. Oggi l’Italia, nella classifica  europea dell’eguaglianza economica, occupa la ventiseiesima posizione su ventotto. Nel nostro Paese, il 40% della popolazione più ricca possiede l’85% della ricchezza complessiva, di questa percentuale il solo 20% detiene una quota di ricchezza superiore al 65%. Questo dato non dovrebbe stupire affatto. Infatti, nel nostro Paese, dal 1992, dopo la ratifica del Trattato di Maastricht e la delegittimazione dell’istituzione parlamentare, tutti i governi che si sono succeduti, a prescindere dalle contrapposizioni funzionali a mobilitare il consenso, hanno messo in discussione la Costituzione, privatizzato importanti settori dell’economia pubblica e strategica, liberalizzato i mercati dei servizi fondamentali, devastato  il sistema di previdenza sociale e smantellato i diritti dei lavoratori, senza soluzione di continuità e senza distinzione di schieramento. Questo processo di passaggio di ricchezza da chi lavora a chi specula con grandi concentrazioni di potere economico nelle mani di pochissimi ( si tratta di superproprietari con maggiore ricchezza di interi Stati mentre il 70 % della popolazione mondiale in età lavorativa possiede appena il 2,7% della ricchezza mondiale) è andato di pari passo alla limitazione della sovranità popolare e alla rimozione di ogni possibile controllo del potere dei mercati sugli uomini. Ciò è avvenuto a vantaggio delle istituzioni transnazionali ed antidemocratiche dell’UE e della BCE che, di fatto, dettano i voleri dei monopolisti tramite i partiti di governo anche al livello degli enti locali. Questi ultimi, sottoposti all’imposizione del pareggio di bilancio e legittimati da un’interpretazione estensiva del principio di sussidiarietà, entrambi inseriti in Costituzione con riforme bipartisan, hanno proceduto a privatizzare i settori economici pubblici ed i servizi essenziali, come quello sanitario, che è stato duramente intaccato regione per regione. Per questo motivo i programmi elettorali che promettono la difesa dei beni comuni, dei servizi pubblici e della sanità, senza mettere in discussione il sistema economico capitalista ed il sistema politico dell’UE e dell’Euro, non sono credibili.
 

Dunque destra e sinistra sarebbero la stessa cosa?

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Si, almeno sulle questioni  davvero dirimenti Nell’ultimo decennio di governo del centrosinistra marchigiano si è assistito allo smantellamento della sanità pubblica ed al finanziamento di quella privata; alla chiusura di reparti, punti nascite, ospedali e strutture sanitarie sul territorio; al fallimento della Banca delle Marche; alla chiusura di fabbriche ed alla desertificazione industriale del territorio, con profitti milionari per i grandi imprenditori e disoccupazione per i lavoratori. E la stessa cosa è avvenuta al Nord, nelle regioni governate dalla Lega. Occorre una vera svolta.


Cosa farebbe per cambiare l’economia della sua Regione?
Rimetterei al centro i lavoratori. Scelte industriali scellerate  stanno mettendo a rischio interi indotti produttivi e migliaia di posti di lavoro nel silenzio complice di amministrazioni politiche  deboli. La vicenda Whirlpool né è un esempio didascalico. La svendita di una grande industria come Indesit ad un diretto competitore sul mercato internazionale, al netto delle promesse contenute nei piani industriali, non poteva non mettere a rischio la produzione nel nostro territorio. Come per l’ILVA anche per la Whirlpool e la Indelfab (ex JP) è necessario un intervento pubblico, che rilevi gli impianti industriali e, mediante la partecipazione diretta dei lavoratori, ne rilanci la produzione mantenendo la piena occupazione. Inoltre la ciclica crisi economica, aggravata dall'emergenza sanitaria, sta producendo, in questa terra, una vera e propria  desertificazione industriale. E' necessario prevedere subito ammortizzatori sociali legati alla riqualificazione ed al ricollocamento professionale.  Occorre mettere a punto finanziamenti pubblici per l'agricoltura e ridurre la tassazione per le imprese artigiane (rimborso IRAP) e per le partite iva. Si deve  ripristinare la sovranità popolare mediante un processo democratico di rottura su base nazionale con i trattati dell'UE, a partire dall'Euro, dal Fiscal Compact e dal MES. Al tempo stesso bisogna superare, anche a livello locale, i vincoli del pareggio di bilancio e del patto di stabilità, per rilanciare l'intervento pubblico nell'economia strategica. In particolare va attuata la volontà popolare espressa con il referendum del 2011, ripubblicizzando tutti i servizi fondamentali: acqua, energia elettrica, gas metano, telecomunicazioni, trasporti e gestione dei rifiuti.   E va ricostruito un settore bancario pubblico per la gestione dei risparmi e l'erogazione di credito agevolato ad imprese del territorio, partite iva e famiglie.

 

E per la sanità?

 

L’emergenza da COVID-19  da un lato, ha messo in luce i limiti della regionalizzazione della sanità e l’importanza del Servizio Sanitario Nazionale, dall’altro, gli effetti drammatici di lustri caratterizzati da tagli alla spesa sanitaria, che si sono concretizzati in chiusura delle strutture e mancanza di posti letto, soprattutto di terapia intensiva e rianimazione. Qui nelle Marche,  il governo regionale di centrosinistra, al pari della destra in altri territori ha iniziato un'opera di riduzione della sanità pubblica a vantaggio di quella privata: ai tagli inflitti alla prima sono corrisposti ingenti finanziamenti pubblici ai privati convenzionati. Tale politica ha ridotto i servizi socio-sanitari in favore dei cittadini, danneggiando in particolar modo le fasce più deboli. I finanziamenti diretti alla sanità privata, vero e proprio furto di salute, ammontano a 350 milioni di euro ogni anno. Noi vogliamo che questi soldi  non riempiano più le tasche di ricchi speculatori  spesso amici delle diverse compagine di governo in giro per l’Italia, ma servano  a finanziare la sanità pubblica, riaprire e potenziare le strutture sanitarie territoriali,  ridurre il costo delle prestazioni sanitarie. Non si gioca sulla pelle e sulla vita delle persone. Nessuno può sottrarre un diritto in nome del profitto.

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