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Politica
La festa della Repubblica e la Liberazione di Mattarella. "Caro Presidente.."
Sergio Mattarella (foto Lapresse)

La festa della Repubblica e la Liberazione di Sergio Mattarella

Caro Sergio,

non avrei mai immaginato di vederti qui, sulla nostra amata spiaggia di Mondello e nel giorno dedicato alla rappresentazione plastica dello Stato, nato dalla Resistenza ma forgiato dalla pazienza che tu rappresenti mirabilmente, come il silenzio che si “ascolta” tra i villini liberty di Basile, fuori stagione e “fuori-onda”.

Carissimo Presidente nella tua grisaglia d’ordinanza che assomiglia tanto ad una divisa militare sempre pesante anche d’estate e anche in spiaggia (come Moro) abbiamo imparato a capire il significato più profondo del tuo stile, la pacatezza della tua oratoria, e la freccia semantica di ogni messaggio, che partiva dal passato per arrivare verso qualche tipo di futuro. Non deve essere stato semplice fare “il democristiano più democristiano che ci sia”, allentando i toni anche per chi, come te, caro Presidente, vorrebbe “alzare toni e significati” anche solo dare qualche lezione agli scavezzacollo che, nei giorni della Festa, ti invaderanno i Giardini della Casa, aspettando granite, cannoli e consenso.

Caro Sergio, non sono in grado di darti consigli, non sono capace di fare “il tafano” che conosci bene, ma qualche volta perché non segui l’esempio del tuo amico Francesco, anche lui di centro-sinistra , e amante di una perfetta trasversalità di linguaggio che, da una parte accontenta tutti e dall’altra, non riesce ad arrivare veramente al bersaglio.

Lo so, non è il tuo compito istituzionale, e Grasso ti sorveglia come un cerbero, ma in fondo tu sei, come me, siciliano, prima che italiano, e questa è una differenza sostanziale, e non ti sto chiedendo di fare il Principe Fabrizio Salina, profondamente incatenato ad un passato che si estingue ma attento alle trasformazioni di un’idea di futuro, non mi permetterei mai.

Caro Presidente tu sei figlio, e fratello di uomini politici che tanto hanno dato alla Sicilia e al Paese, e non è un caso che tra le tue attività quella che mi entusiasma è il tuo sistematico recarti dal barbiere, qui da noi a Palermo, perché le tradizioni e le consuetudini non si cambiano, ma ogni tanto, facci sentire quell’ardore, quella forza, quell’emozione nelle contraddizioni della terra d’origine.

Caro Sergio, prima di metterti la solita grisaglia e il cravattone blu per la parata, respira questi profumi, parla con l’anima, col cuore, emozionati, e non dare troppo spazio alla gabbia retorica del cervello che non può condizionarti fino a renderti freddo, distaccato e razionale: regalaci la tua antica(o recente) passione, portarci sulla battigia di questa bellissima spiaggia, vicina al Parco della Favorita.

E togliti le scarpe.

Carissimo Presidente, fai vedere a tutti gli Italiani che sei reale, vivo e in quelle vene, così importanti, pulsa quel sangue che tutti ci permea, che assomiglia tanto allo spirito confuso degli abitanti di questo meraviglioso e terrificante paese, dove l’errore e l’orrore dialogano quotidianamente nella cronaca e nella storia.

Caro Sergio, tu sai quanto abbiamo sofferto ma continuiamo, da autentici “Italiani eterni” a ridere e ballare anche sull’abisso di ogni nostra giornata. Ora, e in questa Festa d’inizio estate ti chiedo, con la solita pacatezza (e che democristiano saresti se no?), posso sperare un giorno di vederti con la camicia bianca aperta, un bel paio di jeans, foulard e magari un panama bianco?

Mi dirai l’abito non fa certamente il monaco ma credimi: aiuta.

Affettuosamente attendo tue

Maurizio

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