Obama avalla D'Alema. Frattini a disagio sul fronte orientale
Di Antonio V. Gelormini
Leader non si nasce per caso. Può esserci una predisposizione congenita, ma ci si diventa coltivando il talento, profondendo passione e impegno, e imparando a gestire le difficoltà per farne propulsori della propria personalità e delle linee guida della propria azione. In politica, al momento, nessuno meglio di Massimo D’Alema riesce a dar forma e concretezza a tali capacità.
Il precipitare degli eventi sul fronte, mai domo, israelo-palestinese e le rinfocolate azioni di forza, reciprocamente alimentate dagli schieramenti più oltranzisti, proprio durante le festività natalizie, hanno messo a nudo, ancora una volta, una sorta d’impotenza globale di fronte a quel conflitto inesauribile, suscitando unanime condanna e riprovazione.
In casa nostra le ripercussioni hanno visto, dall’opposizione, Walter Veltroni apostrofare come “inadeguato” il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Mentre la comunità ebraica capitolina, almeno nelle sue espressioni più “intransigenti”, rimproverava a Massimo D’Alema un eccesso di comprensione per le cosiddette provocazioni di Hamas, ritenuto il vero responsabile dell’inasprimento degli attacchi militari e missilistici nella Striscia di Gaza. Evitando, poi, di invitarlo all’incontro organizzato a Roma per esprimere solidarietà ad Israele.
Punto nel segreto dell’orgoglio personale, la reazione di D’Alema diventa una vera e propria lezione di Politica Estera. A partire dalla sponda trovata sull’esortazione di Abraham Yehoushua al governo israeliano, per accentuare la forza della sua analisi: “I Palestinesi sono nostri vicini e lo saranno in futuro. E questo ci impone di considerare, con molta attenzione, quale tipo di guerra combattiamo contro di loro, il suo carattere, la sua durata, la portata della sua violenza”.



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