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Politica
Giletti sfida Bonafede sui boss. “Aspetto ancora la sua solidarietà pubblica”
(fonte Lapresse)

Il conduttore di “Non è l’Arena” su La7 Massimo Giletti è finito sotto scorta dopo le minacce del boss Filippo Graviano, condannato per le stragi del ’92 e del ’93, e che intercettato in un carcere di massima sicurezza, dopo l'uscita di centinaia di detenuti per l'emergenza Coronavirus, criticava duramente il conduttore per l'attenzione dedicata alla vicenda. 

Graviano era stato intercettato dopo la puntata della trasmissione nella quale il giornalista aveva letto l’elenco con i nomi dei boss scarcerati per la pandemia, tra cui alcuni al 41 bis. Al tema il conduttore ha dedicato diverse puntate. Al centro le decisioni della Giustizia, del ministero e del ministro Bonafede.

Graviano parlava così di Giletti e del magistrato Nino Di Matteo, intervenuto in trasmissione: “Il ministro fa il lavoro suo e loro rompono la mi….a”. 

Come stai intanto, anche emotivamente?

“C’è il rammarico che purtroppo quando ci si occupa di inchieste sulla mafia alla fine chi lo fa in modo forte finisce sotto scorta. Le persone che gestiscono il Paese dovrebbero chiedersi come mai accada. E’ normale una cosa del genere? Questa è la domanda che dovrebbero porsi davvero e che va al di là delle emozioni personali che uno può vivere”.

L’ultimo personaggio che ha avuto un grande risalto pubblico per aver ricevuto la scorta è stato Roberto Saviano che di prima acchito disse che non era pienamente consapevole di quello che aveva fatto e che vista la quotidianità che era costretto a vivere forse non lo avrebbe rifatto. Tu rifaresti tutto?

“Eh... non so quando lui ha detto questa cosa. Ho incontrato Saviano, ho visto come si muove, la vita che vive, so che è faticoso. Potrò darti una risposta a questa domanda fra un po' di tempo”.

Hai il merito di aver riproposto alla massa in tv un tema dirimente e forte come la mafia, tu che eri accusato di affrontare questioni troppo leggere e di spettacolo, e la reazione anche di molti colleghi non è stata di riconoscertelo, ma il contrario. Dietro secondo te ci sono anche interessi o solo la cattiva abitudine tutta italiana di sparare su chi ha successo e riesce a diffondere una visione che va oltre quella dei salottini radical chic di sinistra a cui facevi riferimento in un’altra intervista?

“Proprio stanotte ho fatto una riflessione. Mi sono ricordato di quando fui costretto, e risottolineo costretto, a lasciare la Rai, perché ero diventato evidentemente troppo scomodo. Mi è rimasta nella mente una dichiarazione che fece l’allora capo delle Procura di Caltanissetta il dottor Lari che disse che ero stato troppo scomodo perché parlavo di mafia a 4 milioni di spettatori su Rai 1 e che evidentemente pagavo per questo. Quella dichiarazione del procuratore mi lascio così… Mi sono sempre occupato di tematiche di questo tipo, anche quando ero in Rai. Poi dovendo fare 5 ore alterno anche altre situazioni. Qui o si sta da una parte o si sta dall’altra. Questo doppiopesismo di molti giornalisti mi ricorda la questione del periodo Brigate Rosse. Qui ci sono i soliti dubbi. Ma o sostieni una persona o non la sostieni”.

Sappiamo da decenni che la mafia vuole essere invisibile per fare affari. Mi sembra che con queste inchieste sui mafiosi che escono dalle carceri ti sei ritrovato in mezzo a un racconto in cui si mostra che il dietro le quinte di come lavora lo Stato è diverso da quello che si vede. Non è forse questo il problema di quelle inchieste?

“Questo è il punto. Noi abbiamo scoperchiato il cosiddetto vaso di Pandora, cioè abbiamo dimostrato che quello che ci hanno tentato di raccontare non era vero. Che dietro alla rivolta nelle carceri, molto violente, c’erano strategie ben precise che secondo me sono culminata in un accordo sotterraneo… di fare uscire un po' di gente. Accordo tra virgolette ovviamente che però ancora allo stato attuale mantiene fuori ancora molti di questi. Non sono rientrati tutti”.

La trattativa non è mai finita. In pochi hanno subodorato in quello che è accaduto nelle carceri la possibilità che la trattativa tra Stato e mafie se c’è mai stata stia continuando. Tu che ne pensi?

“La parola trattativa in questo Paese non è la prima volta che si usa, quindi se uno ci riflette non si può escludere nulla. Io peraltro dal ministro Bonafede aspetto ancora una presa di distanza dalle parole pesanti di Graviano, io ancora oggi non ho visto una presa di distanza pubblica del ministro dello Stato, quando Graviano disse ‘Giletti e Di Matteo rompono la mi....a e il ministro fa il suo lavoro’. Io sto aspettando e ho chiesto una presa di posizione pubblica in nostra difesa... e sto ancora aspettando e mi stupisce che non sia stata fatta ancora, alla luce di tutto quello che sta succedendo”.

Usiamo una metafora: vediamo la mafia italiana come un’immensa centrale nucleare nel Paese. A combattere e gestire la partita con questa “centrale nucleare” esplosiva, tu come stai vedendo un ministro senza esperienza, ed è sotto gli occhi di tutti, ma votato almeno a parole dalle buone intenzioni? 

“Io sono molto deluso. Io non ho visto, se non Virginia Raggi e Barbara Lezzi, prendere una posizione di solidarietà nei miei confronti. I vertici del Movimento 5 Stelle, totalmente, non hanno preso posizione e siccome il M5S ha fatto una campagna in Sicilia contro la mafia questo mi stupisce e mi amareggia. E qualcuno ci dovrà dire perché”.

E su Bonafede?

“Su Bonafede quello che dovevo dire l’ho già detto pubblicamente. Io spero che Bonafede accetti un confronto con me, alla ripresa del programma a settembre. Io confido in un confronto sincero e aperto il 27 (settembre, ndr). Lo invito fin da oggi. I confronti si fanno pubblicamente, non con telefonate private che peraltro il ministro mi ha fatto. Io prendo atto della telefonata privata ma qui la lotta si fa in modo pubblico, senza paura”.

Con tutto quello che è stato reso pubblico per la vicenda dei boss che escono dalle carceri, a quasi 30 anni dalla morte di Falcone e Borsellino, lo Stato sembra ancora non in grado, non dico di distruggere e contrastare ma neanche di gestire la normalità della presenza delle mafie. Chi lo fa vedere diventa lui il problema e viene isolato. Sei stato brutalmente attaccato anche da colleghi giornalisti. Ti è stato dato del propalatore di merda, ripetutamente. Ma non ti sembra che questo sia il sentore di un male profondo da cui proprio non si riesce ad uscire? Siamo ancora lì…

“Ognuno risponde alla propria coscienza. Il fatto che sia sotto scorta vuol dire che non propalavo merda e il nostro programma non era un covo di millantatori”.

Ridotto il nostro sistema industriale, il grande bottino italiano è rimasto quello pubblico, che muove la politica. Tutto si gioca sui voti e su come si sposta il consenso. Ora il racconto che tu hai fatto, di quella realtà dietro le quinte, inevitabilmente va a ledere proprio quei salotti che stanno con le mani su quel bottino. Ma non è che non ti si perdona la messa in discussione della loro visione della realtà? E che così facendo i voti poi vadano altrove?

“Io ho sempre pensato di lavorare per fare un prodotto televisivo il più lontano da logiche politiche. Per me quello che conta è fare un buon prodotto televisivo. Che 4 milioni di teste ti guadassero quello era un grosso problema per la politica. E’ la politica che decise di farmi andare fuori dalla Rai. Quindi è possibile tutto. Anche oggi quando noi facciamo 2 milioni di spettatori creiamo pressione con l’effetto strascico degli altri che ne parlano. A me nella vita appartiene solo l’idea di fare un buon prodotto televisivo”.

sinistra in Liguria sono disperati e stanno candidando a governatore Ferruccio Sansa, un giornalista de Il Fatto quotidiano ma soprattutto una persona per bene. Il problema che si sta presentando è il solito, la presenza nelle liste elettorali di personaggi che fanno da quinta colonna alle mafie. Addirittura alle passate elezioni uno della famiglia Mafodda fece da appoggio a un candidato grillino. Sansa avrebbe posto il problema di un suo controllo ferreo delle liste ma poi non se ne è saputo più niente. Tu cosa gli consiglieresti di fare?

“Io reputo Sansa una persona per bene, un ottimo giornalista, temo però che poi i giornalisti che si sono candidati se ne siano andati dalla politica con grande amarezza e temo che poi la realtà con cui ti confronti e scontri è sempre quella dei voti. E per portare voti in Italia si fanno dei compromessi spesso pericolosi.”

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