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Politica
Governo, altro che Conte a casa. Verso un ministero a Di Battista

di Paolo Becchi (*) e Giuseppe Palma

La partita è chiusa.  Conte ha incassato la fiducia con la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato. Dal punto di vista costituzionale il Presidente del Consiglio ha vinto la partita, perdendo tuttavia la maggioranza politica al Senato.

Vediamo i numeri. A Montecitorio la fiducia è passata con 321 voti favorevoli, cinque in più della quota minima della maggioranza assoluta (316). A favore è arrivato a sorpresa il voto di Renata Polverini, subito dopo espulsa da Forza Italia. Al Senato la fiducia è passata con 156 voti, cinque in meno della quota della maggioranza assoluta (161). Italia Viva si è astenuta, mentre a favore del premier sono arrivati tre voti dai senatori a vita (Monti, Segre e Cattaneo) e una manciata di voti dei senatori “responsabili”, in ordine sparso e senza una collocazione politica omogenea. Quelli che un tempo erano definiti voltagabbana e poltronari e oggi sono i “costruttori”.

Il dato di fatto saliente è che il numero dei sì alla fiducia è uguale alla somma di chi non ha votato la fiducia, quindi la maggioranza politica non esiste più. Tanto è vero che in soccorso del premier sono arrivati pure due senatori di Forza Italia, quindi da oggi esiste una “maggioranza” raccogliticcia e pure disomogenea. Ma il Presidente del Consiglio ha incassato la cosiddetta fiducia tecnica, quindi non è obbligato a dimettersi pur avendo perso la maggioranza assoluta e politica a Palazzo Madama. Altre volte nella storia i governi si sono retti sulla maggioranza relativa, ma mai senza un definito quadro politico come adesso. Fatto sta che Conte non si dimetterà e andrà avanti, anche perché sa benissimo che le dimissioni comporterebbero, dopo le consultazioni al Quirinale, il rischio di non tornare più a Palazzo Chigi. Ci sarà un rimpasto di governo che accontenti i “costruttori” e su questo ci sarà forse un nuovo voto di fiducia, avanti così a tempo indeterminato.

Lo sconosciuto avvocato Conte, che un tempo era definito da sinistra la marionetta di Salvini e Di Maio, in appena un anno e mezzo ha fatto fuori i due Matteo: Salvini, che comunque resta vivo e vegeto e se la gioca per le prossime elezioni politiche, Renzi che invece ne esce parecchio ridimensionato. Dal punto di vista della maggioranza, invece, la prossima mossa del M5S sarà quella di darsi in tempi brevi l’organo politico collegiale atteso da tempo e proporre Di Battista come Ministro in modo da tenere a bada la corrente più agitata, mentre il Pd potrebbe chiedere la vicepresidenza del consiglio per Franceschini. Il risultato dell’operazione renziana sarà dunque quella di blindare l’asse Pd-5Stelle, con Di Maio che resta centrale e insostituibile.

Ora Conte ha un governo senza Renzi ma con la corrente mastelliana condita dai senatori eletti all’estero e da quelli a vita. Non ci sarà più un Renzi a tirare calci, ma i mastelliani non hanno un granché di curriculum fiduciario: nell’ottobre del 1998 passarono in una notte dalla coalizione di centrodestra, con la quale erano stati eletti, a quella di centrosinistra che si accingeva a cambiare Prodi con D’Alema. Dieci anni dopo, nel gennaio 2008, fu proprio Mastella a far cadere il Prodi II al Senato. Conte avrà dunque un Renzi in meno ma un Mastella in più. Qualche grattacapo l’ex “avvocato del popolo” l’avrà, soprattutto durante il semestre bianco (agosto 2021 – gennaio 2022), quando le Camere non potranno essere sciolte e Mastella – tramite i suoi - potrà brigare come gli pare. Staremo a vedere.

Ma da qui ad agosto bisognerà pur governare. Come fare senza la maggioranza assoluta al Senato? Le commissioni di Palazzo Madama sono già composte, quindi da lì non passerà nulla che centrodestra e Italia Viva non vogliano. Una legge elettorale proporzionale come promesso da Conte nelle sue comunicazioni, che per l’art. 72 della Costituzione deve passare necessariamente dalla commissione affari costituzionali di entrambe le Camere, al momento non ha i numeri per arrivare in aula dove il governo metterebbe la fiducia. Sulle altre materie, visto lo stato di emergenza permanente, il Conte rimpastato legifererà a botta di decreti-legge ponendo la fiducia sulle leggi di conversione. Sullo scostamento di bilancio, dove occorre invece la maggioranza assoluta, Renzi e le opposizioni non faranno mancare i loro voti a Palazzo Madama come del resto è già successo finora. Su tutto il resto, Dpcm a gogò, che non passano dal parlamento.  

Insomma, Conte resta al suo posto mentre i due Matteo – che sono quelli che lo hanno messo a Palazzo Chigi nel primo e nel secondo governo – sono finiti all’opposizione. Questa è la realtà. Renzi, da sempre a favore di un sistema elettorale maggioritario, visto il 2% nei sondaggi, potrebbe alla fine votare in commissione e in aula il proporzionale annunciato da Conte, mentre Salvini – di fronte ad un proporzionale da prima repubblica che tanto piace a Mastella – sarebbe il vero sconfitto di questa nuova operazione. Ma da qui al 2023 possono ancora succedere tante cose.

(*) Docente di filosofia del diritto all'Univeristà di Genova, ex ideologo del Movimento 5 Stelle e oggi editorialista di Libero

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