
"Chi, nel corso del tempo, è stato nella società più opposto alla Chiesa? I suoi nemici. Gli Ebrei, i Massoni, i Modernisti". Così parlò, il 28 dicembre scorso, monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X (in altre parole il capo dei lefebvriani, da decenni critici verso la Chiesa cattolica postconcliare). Fellay ha esposto la sua tesi nel corso di una conversazione presso la cappella di Nostro Signore del Monte Carmelo a New Hamburg, Ontario (Canada).
I NEMICI- Il vescovo, consacrato illegittimamente da Marcel Lefebvre nel 1988 insieme ad altri tre suoi confratelli (atto che costò la scomunica di Lefebvre e lo "scisma" che da 25 anni marca le distanze tra Roma ed Econe, scomunica ai vescovi poi rientrata per volontà di Benedetto XVI), ha fatto il suo punto della situazione in merito ai colloqui col Vaticano. In particolare, secondo la Catholic News Agency, "Gruppi esterni alla Chiesa, che sono stati chiaramente dei nemici per secoli della Chiesa" avevano espresso la loro opposizione alla riconciliazione dei lefebvriani con la Santa Sede. Per la CNA, il riferimento a non ben precisati "gruppi" sarebbe invece collegabile a "Ebrei, massoni, modernisti".
LE "PROVE" SUPERATE- Poi Fellay ha parlato dello stato della Fraternità, sostenendo che il 2012 ha visto delle prove da superare, e che in particolare "Alcune persone hanno perso la fiducia nell'autorità". Qui il riferimento è a monsignor Richard Williamson, il vescovo negazionista dell'Olocausto espulso il 24 ottobre 2012. La motivazione ufficiale, così riferì allora la DICI, l'agenzia stampa dei lefebvriani, fu espressa in questi termini: Williamson si era "allontanato dall'autorità e dal governo della Fraternità per alcuni anni, e avendo rifiutato di mostrare il dovuto rispetto e obbedienza ai suoi legittimi superiori" era stato espulso.
Per il capo dei lefebvriani la colpa è comunque del Vaticano. Infatti Fellay ha dichiarato che la San Pio X ha ricevuto da Roma segnali abbastanza confusi e che i colloqui sono saltati per le accuse reciproche: da un lato la Santa Sede "colpevole" di modernismo, dall'altro la Fraternità tacciata di protestantesimo. Due i punti cardine per Fellay: da un lato parte della dottrina del Concilio Vaticano II sarebbe opposta a quanto la Chiesa ha sempre insegnato, mentre l'idea espressa da Benedetto XVI per il quale il Vaticano II non è un momento di rottura, ma di continuità nella storia della Chiesa, è "insostenibile" perché i documenti conciliari sono "contrari" o "opposti alla Tradizione" in alcune loro parti. Ma lascia ancora una speranza al dialogo: "La situazione non è disperata, no. Non è peggiore rispetto a prima, c'è ancora speranza. Non credo succederà adesso, ma per quanto ci riguarda continueremo ad andare avanti sul dialogo".
TIRA E MOLLA- Insomma, siamo di nuovo al punto di partenza. È il modus operandi ormai classico al quale la Fraternità ha abituato la Santa Sede: non cede sui suoi punti di vista (che restano sempre quelli, ossia il rifiuto del Concilio e le accuse di modernismo a Roma), mentre la Santa Sede aumenta l'entità delle offerte. Al momento della rottura, avvenuta nel corso di quest'estate, si parlava con insistenza di un ritorno all'ovile per i lefebvriani mediante l'accettazione della dottrina conciliare e l'erezione a Prelatura personale (come l'Opus Dei, ossia una diocesi senza territorio). Tutto questo non è bastato, malgrado da parte lefebvriana vi sia stata la cacciata di Williamson, autore di discutibili e imbarazzanti affermazioni contro l'Olocausto costate non poche polemiche, nel 2009, nei confronti di Joseph Ratzinger e del suo gesto di perdono verso i vescovi ordinati da Monsignor Lefebvre. E malgrado un certo impegno da parte di Fellay per il ritorno alla comunione con Roma. È però difficile pensare che, dopo le ultime dichiarazioni di Fellay, i lefebvriani troveranno a Roma la stessa disponibilità del passato.
Antonino D'Anna