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Politica
La riforma Cartabia? Altro che Draghi, è una grana per il Pd
Lapresse

La stroncatura della riforma Cartabia da parte del Csm complica uno scenario estremamente delicato e rischia di avere ulteriori contraccolpi sul cammino accidentato del provvedimento in Parlamento. A riprova del fatto che la giustizia si conferma un terreno scivoloso, per non dire un vero e proprio campo minato. Già è stata la buccia di banana sulla quale è caduto il governo Conte 2 e ora ci risiamo con l’esecutivo Draghi. Con l’aggravante stavolta che, sugli emendamenti al vecchio testo targato Bonafede per riformare il processo penale, si sente tutto il peso di una maggioranza molto eterogenea. 

E’ notizia di oggi, all’esito della conferenza dei capigruppo alla Camera, che il provvedimento dovrebbe approdare in Aula a Montecitorio per la discussione generale il prossimo 30 luglio. Ma il condizionale è d’obbligo. Anche perché vincolato ai lavori in commissione Giustizia dove ancora regna lo stallo e si cerca disperatamente una mediazione, dopo la valanga di modifiche presentate soprattutto dal Movimento cinque stelle. Sono un migliaio, anche se poi quelle non ostruzionistiche e quindi di merito sono 150 circa. Sempre tanti, comunque. Soprattutto viste da Palazzo Chigi, con il presidente Draghi che appena ieri aveva fatto pervenire alla Camera la sua ferma volontà di arrivare al voto sulla riforma entro fine luglio. Il tana libera tutti che può infatti scattare dopo il 3 agosto, quando inizierà il semestre bianco, con l’impossibilità da parte del presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, potrebbe dare il là a un vero e proprio Vietnam tra le forze parlamentari che a quel punto avrebbero le mani libere.

Ma paradossalmente più che Draghi a temere di più uno stallo o una mancata mediazione sulla giustizia è il Pd che non a caso è impegnato a capofitto nella ricerca di un punto di caduta che possa da un lato soddisfare il Movimento e dall’altro non esporre troppo i dem con il governo Draghi. Perché alla fine della fiera è proprio il Nazareno a rischiare di trovarsi col cerino in mano. Se come pure è possibile - sebbene tecnicamente complicato -  il Governo mettesse la fiducia sul ddl penale e il M5s votasse contro, infatti, per il partito guidato da Enrico Letta sarebbe un problema. Perderebbe un alleato chiave nella compagine dell’esecutivo. Non la pensa così il deputato Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in commissione Giustizia, che ad Affaritaliani.it dice: “Se il Movimento si sfilasse sarebbe sì un problema, ma non per il Pd, bensì per Draghi che si ritroverebbe una maggioranza a trazione Lega. Il partito di Salvini non sarebbe più, infatti, una delle forze che al pari delle altre sostiene l’esecutivo. Questo è evidente”.

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