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Politica
Pensioni riforma 2023: chi ci guadagna e chi ci perde. Le cifre

Pensioni riforma 2023: cifre e numeri, cosa cambia dal prossimo anno


Pensioni riforma: chi ci guadagna e chi ci perde? Per il 2023 e il 2024 il governo Meloni ha deciso di adottare un nuovo sistema di perequazione delle pensioni, per aumentare gli importi minimi, tagliando progressivamente gli assegni più alti. Tuttavia, secondo i sindacati, a venire penalizzati dalla riforma saranno i pensionati che ricevono assegni tra i 1.500 e i 1.600 euro netti al mese, non quindi i più ricchi ma il ceto medio. La riforma si basa sul decreto firmato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha fissato al 7,3% la quota di indicizzazione al caro vita per l’adeguamento che scatterà a gennaio 2023.

L'obiettivo è arrivare a una riforma strutturale che istituisca la quota 41 secca, basata solo sui contributi e non sull'età. Ma nel frattempo, solo per il 2023, entrerà in vigore la quota 103

Con perequazione si intende il meccanismo di rivalutazione annuale degli importi di tutte le pensioni, al fine di adeguarli al costo della vita e proteggere, almeno in parte, il loro potere di acquisto dall’erosione dovuta all’inflazione. In base quanto riporta la manovra economica, il sistema di indicizzazione sarà suddiviso in sei fasce, mettendo fine al sistema articolato su tre fasce in vigore fino a questo momento.

Per i prossimi due anni, si legge su www.wired.it, la rivalutazione sarà al 100% per le pensioni che vanno dal trattamento minimo Inps (di circa 525 euro) fino a quelle che arrivano a quattro volte questo importo. Percentuale che si ridurrà all’80% per i trattamenti pari a cinque volte l’importo minimo, al 50% per quelle tra sei e otto volte il minimo, al 40% per quelle tra otto e dieci volte superiori e del 35% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo (circa 5.250 euro).

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Inoltre, le pensioni minime riceveranno una rivalutazione rafforzata, con un incremento dell’1,5% per il 2023 e del 2,7% per il 2024. Tenendo conto dell’indicizzazione al 7,3%, i trattamenti pensionistici più bassi dovrebbero salire a circa 570 euro per il prossimo anno e circa 580 in quello successivo. Un cambiamento che, in generale, assicura un piccolissimo aumento delle pensioni minime, ma che, al contempo, va a tagliare direttamente sulle altre pensioni, andando a colpire quelle superiori ai 1.500 euro netti al mese.

I piani del governo hanno fatto insorgere il sindacato dei pensionati Spi-Cgil, secondo cui l’esecutivo starebbe usando le pensioni del ceto medio come un “bancomat”, andando a creare una perdita di oltre 1.200 euro l’anno per circa 4,3 milioni di pensionati e pensionate. Secondo il sindacato, infatti, il governo sta facendo passare per ricche le pensioni medie, mentre non andrebbe a intaccare quelle veramente più alte, le quali continueranno a ricevere assegni sensibilmente più consistenti rispetto alle altre, mentre le minime continuano a essere totalmente inadeguate per garantire una vita dignitosa.

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