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Politica
Pisapia a tutto campo, dall'UE alla Lombardia: "Draghi? Ci serve al Governo"
Giuliano Pisapia

Giuliano Pisapia, intervista a 360° ad Affari Italiani: Sassoli, Metsola, Berlusconi, Draghi, Cartabia, Lucano e il futuro della Lombardia

 

Avvocato, deputato e poi Sindaco di Milano, Giuliano Pisapia dal 2019 è parlamentare europeo. Eletto nelle liste del Pd, ha avuto modo di lavorare fianco a fianco con David Sassoli, la cui prematura scomparsa ha suscitato grande commozione non solo tra i nostri connazionali e nella sua area politica di riferimento. L’intervista di Affari Italiani parte proprio da qui: “Sono reduce da una plenaria nella quale a Sassoli è stata dedicata una commemorazione davvero struggente”, racconta Pisapia. “Nel suo ricordo c’è stata grande unità, con gli interventi di Macron, di rappresentanti del PPE, oltre naturalmente a quello di Letta: tutti hanno riconosciuto cosa David ha rappresentato per noi e il vuoto che la sua scomparsa ha lasciato. Ha fatto davvero molto, sia per l’Europa che per il nostro Paese”. 

Il suo rapporto personale con Sassoli però era nato prima, vero?

“Sì, lo conoscevo da prima di diventare parlamentare europeo. Quando con ‘Campo Progressista’ ho provato a unire un fronte ampio di sinistra e centrosinistra mi sono spesso confrontato con lui, sia a Bruxelles che a Roma, e abbiamo anche fatto delle iniziative insieme. Sassoli lascia davvero un grande rimpianto, ma tengo a ricordare tre cose concrete che senza di lui il Parlamento europeo non sarebbe riuscito a fare. In primo luogo ci ha dato la possibilità di operare anche in piena pandemia, organizzando il voto anche da remoto in modo che fosse sicuro, segreto e trasparente. Una modalità che abbiamo utilizzato anche in questa settimana per la scelta del suo successore, dei vice e dei questori, senza la minima polemica: un metodo che dovremmo imitare anche in Italia per l’elezione del Presidente della Repubblica. Poi voglio citare Next Generation Eu, che senza la capacità e la pazienza di Sassoli nel confrontarsi anche con gli avversari politici non sarebbe stato possibile. Non sarebbe stato possibile ottenere oltre 200 miliardi che al nostro Paese servono per uscire dalla crisi della pandemia e rilanciare l’economia. Il terzo ricordo è una battaglia che abbiamo fatto insieme: quella per imporre sanzioni ai Paesi dell’UE che violano lo stato di diritto, come ad esempio Ungheria e Polonia. Ci ha lasciato davvero tanto”.

Cosa cambia con la scelta di Roberta Metsola, una figura molto diversa da Sassoli?

“E’ stato possibile trovare una convergenza tra realtà politiche che non sempre la pensano allo stesso modo in base a un accordo fatto nella prima parte del mandato e a un programma comune, che è coerente con i valori del PSE. Il primo discorso di Metsola da Presidente è stato di grande apertura, anche su temi potenzialmente divisivi, e più volte ha ribadito la consapevolezza del fatto che deve essere capace di distinguere tra le proprie idee personali da quelle del Parlamento europeo. Se questo impegno sarà mantenuto, come credo, si potranno fare ulteriori passi avanti”. 

Con Von der Leyen alla guida della Commissione europea e Lagarde alla guida della BCE, si compone una triade di donne al vertice del potere europeo: perché in Italia invece non succede?

“Questo terzetto rappresenta un segnale molto forte, ma anche nelle vicepresidenze delle commissioni parlamentari ci sono delle donne che – sottolineo – sono davvero molto competenti. Non sono state scelte in quanto donne: sono persone che hanno dimostrato il loro valore, compresa la capacità di essere unitarie e superare le divisioni. Per questo è stato possibile fare un passo avanti, che in Italia invece ancora non siamo riusciti a compiere”.

A questo proposito, che effetto le ha fatto che nelle scorse settimane tra i candidati al Quirinale sia emerso il nome di una donna che lei ha conosciuto molto bene, ovvero Letizia Moratti?

“Preferisco non commentare”.

Beh, la vostra sfida ormai fa parte della storia… E si è scritto che l’anno prossimo potrebbe esserci persino un “secondo tempo”, visto che si vota per la presidenza della Regione Lombardia…

“(Ride, ndr) L’ho letto anche io… Certamente è fondamentale cambiare le cose e io mi impegnerò per dare un contributo in questa direzione. In Lombardia, dopo 25 anni di centrodestra, è indispensabile un cambiamento sui temi importanti come la sanità, sui quali non sono stati fatti quei passi avanti che erano invece necessari”.

Passiamo ad un altro nome a lei ben noto: cosa ha pensato della nuova discesa in campo di Silvio Berlusconi?

“Non so cosa l’abbia spinto, ma penso che si tratti di un tentativo di presentare un’immagine di sé stesso diversa da quella che la maggioranza degli italiani ha. Credo che farà un passo indietro, prendendo atto di non avere i numeri, ma nel contempo dando un’indicazione di chi potrebbe essere il candidato giusto per lui. Berlusconi ha quindi l’occasione di presentarsi come colui che, di fatto, ha portato al Colle il nuovo Presidente. È tornato protagonista, cosa che si può fare non solo venendo eletto, ma anche in qualità di king-maker”. 

Invece il Pd su chi deve puntare? Tutti fanno il nome di Draghi: è la scelta giusta anche per lei?

“Come anche Letta dice spesso, facendo dei nomi si rischia di bruciare personalità di alto livello. E ce ne sono tante. Lo spessore di Draghi è indiscutibile: io fui tra i primi ad augurarmi una sua discesa in campo, perché era fondamentale fare un passo in avanti rispetto al Governo precedente. Ci serviva in termini di credibilità internazionale e infatti oggi siamo un punto di riferimento a livello europeo e non solo. Abbiamo ancora bisogno di Draghi. È vero che manca solo un anno alla fine della legislatura, ma se non ci fosse più lui a Palazzo Chigi sarebbe difficile trovare un sostituto in grado di tenere l’equilibrio di una maggioranza così composita. Personalmente, trovo più difficile individuare un’alternativa al Presidente del Consiglio che un nuovo Presidente della Repubblica”.

Allora le propongo io un nome: a proposito di donne, come vedrebbe Marta Cartabia al Quirinale?

“Beh, la stimo moltissimo. Condivido totalmente il suo impegno sui temi della giustizia e apprezzo la sua capacità di apportare dei cambiamenti che si attendevano da decenni. Anzi, auspico che il percorso vada pienamente a compimento. Non è compito mio indicare un nome per il Quirinale, ma credo che la ministra Cartabia sia tra le figure in grado in ricoprire questo ruolo, fondamentale per il nostro Paese”.

A proposito di giustizia, tra pochi giorni ricorre il trentennale dell’arresto di Mario Chiesa (il 17 febbraio ’92, ndr), che segnò l’inizio di “Tangentopoli”. Lei ne fu protagonista nella sua veste di avvocato: che considerazioni storiche crede che si debbano fare in proposito? 

“È un tema interessante. Tornare a parlarne potrebbe aiutare tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella vicenda a fare un’autocritica: giornalisti, avvocati, magistrati e anche la politica, ovviamente. Al di là delle diverse opinioni, servirebbe una riflessione collettiva per evitare il ripetersi di fatti del genere, ma soprattutto per fare dei passi avanti sul tema dello Stato di diritto, sulla presunzione di non colpevolezza e quindi sulle garanzie per tutti i cittadini. La giustizia deve essere celere, efficiente e garantista: per me questa è la sintesi di ciò che ancora oggi manca. Per realizzare le riforme, serve il contributo di tutti i soggetti coinvolti, ognuna ovviamente nella sua indipendenza”.

Oggi sulla graticola c’è Beppe Grillo. Proprio perché lei è molto garantista non le chiedo un giudizio sul caso specifico, però una riflessione sul reato di traffico di influenze illecite forse serve: non crede che sia persino difficile capire di che cosa si tratti?

“Sì. Secondo me è stata una norma sbagliata, perché non è chiara e quindi può essere interpretata in modo completamente diverso di caso in caso. Nel nostro ordinamento c’erano già le norme per contrastare la corruzione e altri comportamenti scorretti, mentre questo reato non ha quella concretezza e quella coerenza che invece sono necessarie per temi così delicati. È una riflessione che non riguarda solo magistrati, avvocati e politici, ma tutti, perché deve essere chiaro che cosa è lecito e cosa invece no. La norma penale deve essere precisa e chiara da applicare“. 

In qualità di avvocato, lei difende Mimmo Lucano e si è detto fiducioso nella possibilità di ribaltare la sentenza di primo grado, sebbene sia stata davvero molto pesante. Su cosa si basa il suo ottimismo?

“La sentenza è stata molto pesante, ma a farmi ben sperare è la lettura delle 900 pagine di motivazioni. Peraltro quasi 600 di queste pagine sono piene di intercettazioni telefoniche, inutilizzabili sulla base delle indicazioni delle sezioni unite della Cassazione. Sono fiducioso in un cambiamento radicale per Mimmo Lucano, per evitare che chi si è impegnato per il bene della propria comunità finisca in carcere. C’è inoltre un tema più generale che riguarda i Sindaci, che talvolta rischiano di subire processi per delle iniziative compiute in buone fede, pensando all’interesse dei propri cittadini”. 

 

 

 

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