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Politica
Reddito di cittadinanza, l'unica idea rivoluzionaria nel mondo del post-Covid

“Great Resignation” e rivoluzione tecnologica: perché il dibattito sul Reddito di Cittadinanza non è solo una bagatella politica, bensì un tema che richiede una profonda analisi filosofica

Già duramente provata dalla mazzata del Covid-19, l’economia degli Stati Uniti si trova a fronteggiare il fenomeno delle “grandi dimissioni” (Great Resignation o Big Quit, come lo chiama la stampa d’oltreoceano): oltre otto milioni di lavoratori hanno lasciato le rispettive occupazioni nel corso dell’estate, un record assoluto dell’ultimo ventennio.

Il problema innescato da queste dimissioni di massa è duplice: da un lato non è semplice rimpiazzare chi se ne va con lavoratori dotati di skill analoghe, ma soprattutto è il sintomo di un malessere molto più profondo di quanto si potrebbe pensare. Certamente il mercato del lavoro statunitense è radicalmente diverso da quello europeo, specialmente per quanto riguarda la fluidità delle carriere. Non può però lasciare indifferenti il fatto che addirittura il 28% di chi ha deciso di lasciare il proprio posto sia arrivato alle dimissioni senza avere un’alternativa concreta.

LO STRESS PROFESSIONALE AI TEMPI DEL COVID

Come spiegare questo fenomeno? La causa più frequente è il burnout, condizione di stress cronico causata dal contesto lavorativo, con particolare riguardo all’impatto che può avere sulla propria salute mentale. Quest’ultimo peraltro è un tema sul quale, è bene ricordarlo, recentemente sono state sviluppate numerose campagne di sensibilizzazione e di incoraggiamento a parlarne pubblicamente senza vergogna. Un’operazione culturale certamente meritevole, che ha sollecitato una maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica.

Lo choc del Covid-19 ha certamente contribuito e i vari lockdown, che pure hanno messo a soqquadro la quotidianità di milioni di lavoratori, hanno consentito di riconsiderare abitudini consolidate come la routine casa-ufficio, con tutte le difficoltà in termini di work-life balance delle quali si discuteva già da anni, ma che tra lo smart-working forzato e una socialità sempre più mutilata sono diventati parti del lessico comune.

Il 40% dei dimissionari indica il burnout come motivazione della propria scelta. L’indagine “The great resignation update” vede inoltre il 34% degli addii attribuiti ai cambiamenti organizzativi e il 20% a mancanza di flessibilità, poca considerazione in azienda e/o discriminazioni. Un disagio grave e, oltretutto, trasversale a diversi settori: il più colpito è quello dell’alloggio e ristorazione, seguito però a breve distanza da commercio al dettaglio, commercio all’ingrosso, sanità, educazione, servizi professionali e di business ed infine manifatturiero.

IL PROBLEMA DELLO SKILLS MISMATCH

Il ricambio, come dicevamo, non è affatto facile e il problema non riguarda “solo” la principale economia occidentale. Lo “skills mismatch”, ovvero lo scarto tra le competenze professionali necessarie alle aziende e quelle disponibili sul mercato, viene fotografato anche dalla ricerca di Talents Venture, in collaborazione con PHYD, la piattaforma basata sull’intelligenza artificiale con la quale Adecco fornisce supporto nell’incrocio tra domanda e offerta di skill professionali.

Lo stravolgimento imposto dalla pandemia e dalle veloci innovazioni tecnologiche della Quarta Rivoluzione Industriale fa sì che le aziende fatichino a reperire i profili lavorativi più adatti alle loro esigenze, cosa che risulta possibile solo in un caso su tre circa (36%). Tale divario è più ampio in alcuni settori specifici: sale al 59% per quanto riguarda i laureati in Ingegneria elettronica e al 51% per chi si è formato a Ingegneria industriale.

I profili più difficoltosi da reperire sono invece quelli in grado di occuparsi della gestione dei dati: a partire dai ruoli di data protection alla data governance fino anche a quelli di cybersecurity per concludere con profili esperti di Intelligenza Artificiale e di programmazione informatica. Le competenze più ricercate dalle aziende riguardano gli ambiti cosiddetti STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics), nel quale le donne sono ancora in netta minoranza (39%), nonostante i vari tentativi di intervenire sul gender-gap.

QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E DILEMMI ETICI

L’impetuoso progredire dello sviluppo tecnologico porta certamente molti vantaggi, ma anche alcuni problemi etici. Tra questi, è centrale la considerazione sul ruolo delle risorse umane, che certamente devono cercare di stare al passo coi tempi grazie alla formazione continua, ma che a lungo termine si vedranno sempre più spesso rimpiazzate dall’Intelligenza Artificiale, che evolvendosi rappresenta un’alternativa non solo più economica, ma spesso anche più efficace, quantomeno per alcune funzioni. 

Per questo bisogna necessariamente prendere in considerazione un futuro nel quale la dignità e il ruolo sociale della persona non sia più legata a doppio filo alla sua occupazione professionale. Questo comporta, tra l’altro, che nel durevole dibattito sul Reddito di Cittadinanza si debba salire di livello. Se è giusto occuparsi con attenzione di problemi di applicazione, storture ed abusi da parte dei soliti “furbetti”, il tema va visto anche nella sua enorme portata filosofica. Fin dal nome scelto per questo nuovo strumento di Welfare, c’è il seme di una vera e propria rivoluzione culturale, perché la nostra società è invece fondata sul lavoro. 

IL PUNTO D’INCONTRO TRA MARXISMO E CAPITALISMO

La centralità del lavoro è scritta in termini inequivocabili nell’apertura della Costituzione italiana, ma è anche un elemento condiviso da parte di visioni del mondo per il resto contrapposte. Il marxismo e il capitalismo sono estremi che si toccano proprio sul tema del lavoro: se Karl Marx invocava “lavoratori di tutto il mondo, unitevi”, per il filosofo scozzese Walter Smith, considerato il padre del pensiero capitalista, il benessere e la felicità sarebbero scaturiti dalla compresenza di tanti egoismi, tenuti insieme da quell’empatia che lui vedeva come caratteristica intrinseca dell’uomo. E del capitalismo come modello di società.

SE IL LAVORO DEFINISCE L’IDENTITA’ 

Seppure da diversi punti di vista, il lavoro diventa lo strumento di definizione e affermazione della propria identità, concetto che peraltro si trova anche nell’etica calvinista e persino, seppure in forma perversa, nel nazismo. L’infame scritta “Arbeit Macht Frei” (Il lavoro rende liberi) era un beffardo scippo al titolo di un racconto Lorenz Diefenbach, che nel 1873 scriveva di giocatori d’azzardo e truffatori che scoprivano la via della virtù attraverso il duro lavoro. Con diverse declinazioni, si sono occupati del tema anche Sigmund Freud, Herbert Marcuse e Max Weber e, molto più modestamente, di fatto ce ne occupiamo ogni giorno anche noi, quando ci presentiamo dicendo “sono un giornalista”: qualunque sia il vostro mestiere, la scelta lessicale non è certo ininfluente, visto che forse sarebbe più corretto dire “faccio il giornalista”. Del doman non v’è certezza.

Eppure è un dato di fatto che siamo definiti da quello che facciamo ogni giorno, per la maggior parte delle ore a nostra disposizione, e anche a prescindere dal ritorno economico e dal tenore di vita che esso ci conviene. Siamo il nostro lavoro, piaccia o meno, ed è anche per questo che fatichiamo a trovare un punto di accordo sul Reddito di Cittadinanza: lungi dall’essere “solo” un tema identitario del Movimento Cinque Stelle, è probabilmente l’unica vera idea rivoluzionaria del nostro tempo.
 

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    grandi dimissionigreat resignationidea rivoluzionariamercato del lavoro post pandemiareddito di cittadinanza





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