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Politica
Salvini nel 'cul-de-sac' europeo. O si snatura o rimane irrilevante

C'è chi nega categoricamente, ma c'è anche chi non smentisce e a denti stretti si lascia andare a un "se ne parla da un po'". L'eventuale uscita della Lega Salvini Premier dal gruppo "Identità e Democrazia" al Parlamento europeo è la cartina di tornasole dei tormenti post elezioni regionali e referendum del Carroccio e del suo leader. L'apparentamento con il Rassemblement National di Marine Le Pen e ancor di più con i tedeschi dell'Afd, di fatto, mette la Lega ai margini della politica del Vecchio Continente.

Nessuno infatti a Strasburgo e a Bruxelles vuole dialogare con l'estrema destra, mentre ben diversa è la situazione dei Conservatori e Riformisti (ECR) che da qualche giorno sono guidati da Giorgia Meloni. ECR per intenderci era il gruppo dei Tory britannici, non di Nigel Farage, e per usare il linguaggio della Prima Repubblica fa parte dell'arco costituzionale europeo, mentre ID di Salvini-Le Pen-Afd assomiglia molto al Partito Comunista Italiano fino alla caduta del Muro di Berlino, tanti voti ma sempre fuori dai giochi che contano.

La pandemia da coronavirus ha per certi versi riportato al centro l'Unione europea, sia con il Mes per le spese sanitarie sia (soprattutto) con il Recovery Fund che stenta a decollare. Lo spazio per i sovranisti e gli euroscettici è ormai ridotto all'osso: o si sta dentro, seppur in maniera critica come Fratelli d'Italia, o si sceglie la strada del Regno Unito e della Brexit che in Italia è rappresentata dai vari Gianluigi Paragone, Diego Fusaro, Marco Rizzo. Da qui le voci su un avvicinamento al Partito Popolare Europeo da parte della Lega, vecchio sogno di Silvio Berlusconi, alimentate anche dal fatto che se Salvini coltiva ancora qualche sogno di arrivare un giorno a Palazzo Chigi nel ruolo di presidente del Consiglio non può certo avere contro Bruxelles e le principali cancellerie Ue, Berlino in testa.

Sponsor del riposizionamento in sede europea è il responsabiile esteri di Via Bellerio, l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, mai stato un fautore dell'uscita dall'euro e dall'Ue. L'eminenza grigia del Carroccio lavora a una sorta di nuova Lega repubblicana, presidenzialista, federalista, cattolica ma all'interno della famiglia dei popolari europei, dove, seppur con moltissime polemiche, convive anche il contestato primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Al fianco di Giorgetti, i cui rapporti con Mario Draghi vengono descritti "ottimi e costanti", ci sono anche altre figure di spicco del mondo leghista, come l'ex sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, l'ex viceministro dell'Economia Massimo Garavaglia e soprattutto i Governatori, primo fra tutti Luca Zaia, fresco di rielezione a furor di popolo. La visione 'europeista' del fronte giorgettiano si scontra però con lo zoccolo dei sovranisti anti-Ue capitanati oltre che dall'ex presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi anche dal responsabile economico del partito Alberto Bagnai. Salvini, che nella campagna elettorale per le Europee del 2014 girava da Nord a Sud sponsorizzando il suo 'bastaeurotour' con Borghi, sta cercando una difficile mediazione.

L'impressione è che l'ex ministro dell'Interno sia finito in una sorta di cul-de-sac: se resta con i lepenisti di "Identità e Democrazia" sarà sempre irrilevante, nonostante abbia quasi trenta eurodeputati, e probabiilmente si scorda Palazzo Chigi a vita, se invece esce da ID e prova ad avvicinarsi al Ppe rischia un tracollo elettorale per l'addio da parte di chi aveva sperato (e votato) che la Lega portasse avanti una dura battaglia contro Bruxelles (il tutto per la gioia elettorale del nuovo movimento di Paragone e di Vox Italia).

L'ipotesi che circola a Strasburgo è che ormai la strada sia segnata e che prima o poi, certo non oggi ma nel giro di uno o due anni e comunque prima delle prossime elezioni politiche, la Lega abbandonerà Le Pen e Afd per cercare un'intesa con il Ppe (impossibile entrare in ECR e diventare quindi gli scudieri di Fratelli d'Italia e della Meloni). Il rischio calcolato è che qualche euroscettico deluso lasci il partito, ma il pericolo di restare per sempre out come il Pci è troppo alto.

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