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Politica
Tocci: Draghi sa che il mondo è cambiato. Putin? Oltre il punto di non ritorno
Nathalie Tocci e Mario Draghi

"Siamo di fronte a un cambio sistemico, che non finirà con il cessate il fuoco"

 


La politologa Nathalie Tocci, 45 anni, dal 2017 dirige l’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma, uno dei 20 think tank più influenti del mondo, insegna all’Università di Tübinga (Germania) e alla Harvard Kennedy School (USA). Con lei affaritaliani.it analizza il discorso del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al parlamento italiano, ma soprattutto la replica del Premier Mario Draghi, che rivela la consapevolezza di un passaggio storico epocale, che forse non tutti hanno ancora capito.

Che impressione le ha fatto l’intervento di Zelensky a Montecitorio?

Il suo discorso è stato diverso da quelli fatti nei parlamenti di USA, Inghilterra, Germania e Israele. Non c’è stato il parallelo con la storia del Paese ospitante, che nel nostro caso tutti si aspettavano avrebbe riguardato la Resistenza. C’è stata meno volontà di choccare, rispetto al paragone con la Shoah fatto davanti alla Knesset.

Forse perché è stato molto criticato per quel parallelo?

Questa è l’ipotesi ottimista. L’altra ragione potrebbe essere che non siamo così importanti da forzare la mano fino al punto di rendersi antipatico. Se sei in difficoltà e ti aspetti un aiuto, non ti fai scrupoli a pungolare la coscienza storica del Paese che ti sta ascoltando, come Zelensky ha fatto a Monaco due giorni prima dell’invasione. Se non ne vale la pena, non lo fai. Ovviamente non sappiamo perché abbia fatto questa scelta, ma la virata comunicativa è stata evidente. Può anche essere stato un misto di queste due ragioni. In realtà, il discorso che più mi ha colpito è stato quello di Draghi.

Per quali aspetti, in particolare?

E’ stato un discorso molto più politico. L’Italia ha sposato senza mezzi termini la richiesta dell’Ucraina di entrare nell’Unione Europea, sebbene il Consiglio Europeo avesse dato una risposta interlocutoria, non derogando alle procedure standard. L’endorsement di Draghi è stato invece categorico e questo mi ha colpito. 

Draghi è stato altrettanto esplicito sul sostegno militare…

Sì, ma perché è stata molto esplicita la lettura valoriale di quello che sta accadendo. Una lettura molto diversa dal modo in cui spesso viene inquadrato il dibattito sulla guerra in questo Paese. Anche per scarsa conoscenza di quella parte del mondo, tendiamo a vedere le cose solo in termini di geopolitica, termine che non amo. Parlandone in termini di valori e ideologie, Draghi si è distaccato dalla tradizione di real politik che accompagna solitamente le nostre scelte in campo di politica estera, ma a mio avviso ha inquadrato al meglio la situazione. Non a caso anche Zelensky spinge su questi temi, dai quali poi discendono naturalmente queste scelte di sostegno alla causa ucraina. 

Anche quella di Draghi può essere considerata una virata, visto che in questa vicenda la politica è sembrata rimanere ai margini?

Draghi su questo tema è sempre stato molto chiaro, fin dal suo primo discorso. Certamente però l’Italia, come Paese, non è ancora stata in prima linea, sia per i noti interessi con la Russia, sia perché eravamo convinti che non si sarebbe arrivati a tanto. Draghi invece non ha mai esitato, sebbene la sua credibilità come Presidente del Consiglio sia fatta di altro, ovvero di economia e organizzazioni multilaterali. Solo ora sta emergendo nella politica estera e lo sta facendo attraverso i valori, quindi sposando tutt’altra narrazione rispetto al passato.

Potrebbe anche essere un modo per presentarsi come leader politico a tutto tondo e non solo come un tecnico che si è preso cura dell’Italia in un momento di straordinaria difficoltà?

Credo che Draghi abbia coscienza del fatto che stiamo vivendo un cambio di paradigma, come lo ha capito un altro leader molto pragmatico come Scholz. Questa non è “solo” un’altra guerra, ma appunto un cambiamento che non so quanto gli italiani abbiano compreso. E’ dal 1945 che pensiamo di vivere in un ordine post-guerra, adesso iniziamo a pensare di vivere in un ordine pre-guerra. Poi non sappiamo se il conflitto si allargherà (e ovviamente speriamo di no), ma il rischio c’è. Certamente sta nascendo una nuova bipolarità, nella quale la Russia sta cercando di coinvolgere anche la Cina, riconfigurando il conflitto come una guerra non solo contro l’Ucraina, ma contro tutto l’Occidente. È un cambio sistemico, nel quale sia le sanzioni che le nuove scelte in campo di politica energetica sono di natura strutturale e non potranno certo finire con un cessate il fuoco: è cambiato il mondo e credo che Draghi lo abbia capito bene.  

Quale potrebbe essere invece un’accettabile via d’uscita da questa guerra?

Sostanzialmente la si è già tratteggiata, bisogna però vedere se sarà accettabile per Putin, visto che l’altra faccia della medaglia sarebbe la sua fine. Si tratta di uno scenario nel quale l’Ucraina è neutrale, quindi entra nell’Unione Europea ma non nella Nato (dove peraltro non aveva nemmeno prima prospettive di entrare), ha delle garanzie di sicurezza da parte di USA, Inghilterra e Turchia. Si può trattare anche sul riconoscimento della Crimea, mentre mi sembra più difficile trovare un accordo in tempi brevi sul Donbass. 

Perché questo scenario comporterebbe la fine di Putin?

Perché questa guerra è stata combattuta con l’idea, esplicitata dallo stesso Putin, che la nazione ucraina non esiste e che si doveva riunificare una “Russia frammentata”, come scritto nel suo saggio dello scorso luglio. Se si arriva a un compromesso che riconosce l’esistenza di un’Ucraina indipendente dalla Russia, si apre un vaso di Pandora che lo stesso Putin ha costruito, con la sua idea revanscista della sovranità. Oltretutto anche in un accordo del genere le sanzioni economiche non finirebbero dalla sera alla mattina e quindi le conseguenze politiche sarebbero pesanti. I crimini di guerra ci sono stati, così come le devastazioni. Non ci si lascia tutto alle spalle. Per questo non immagino che Putin possa rimanere al potere: è andato oltre il punto di non ritorno.

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