Fabris, la parola scritta
sul filo del monologo
di Antonio V. Gelormini
Immaginatevi "imbavagliati" sulla poltrona di un barbiere a rimirarvi nel "geometrico" (e non aritmetico) gioco di specchi che vi circonda. E a raccogliere con cura tutti i frammenti di pensieri caduti sotto i colpi, ritmati e costanti, delle sue forbici, lungo la guida a denti stretti del suo pettine.
Avrete la percezione più vicina all'essenza dei monologhi "interiori", che hanno ispirato l'ultimo lavoro di Piero Fabris, e che materializzano la loro epifania nella parola: forse non unico, ma evidente e autentico specchio dell'anima.
Passaggio necessario, dolce e radicale, per fare piazza pulita di ogni pelosa riflessione e per cantare, nella nudità vellutata dell'apparenza, la bellezza temporanea di una sensazione.

"Inchiostrati sulla lame del rasoio" - Falvision 2014, è la raccolta di pensieri, osservazioni e considerazioni sottaciute e ciclicamente "rispolverate" durante i ripetuti interventi in bottega, per dare un aspetto ordinato, piacevole e quasi estraneo di sé, fino al sopravvento irsuto della quotidianità e al ritorno periodico sotto i ferri del mestiere, protettivi e taumaturgici, del sensale uso ad ogni risma.
Una liturgia laica capace di comprendere e provocare stati d'animo riconcilianti, che Fabris utilizza come fonte inesauribile e apparentemente silenziosa, per i suoi monologhi cosiddetti "obsoleti".
Un efficace metodo compositivo di sceneggiature recitate, che danno ritmo all'incedere scenico e attraggono attenzioni ed emozioni, con l'architettura leggera di un copione mai uguale a se stesso.


Fabris è il Figaro mozartiano che, in un crescendo armonico di espressioni, nel "mondo di chiacchiere" per antonomasia - la sua metaforica barberia - cattura il silenzio rumoroso dei pensieri, man mano che spuntano incolti dalle teste dei "clienti" che si ritrova per le mani.
Schermi, sorrisi, allusioni, maschere, divise o costumi di scena, diventano ingredienti talvolta pirandelliani, altre volte filosofici, altre ancora metafisici, per rappresentare l'intimo essere di ciascuno, in quel riverbero plurale dei tanti, che ogni giorno ci passano accanto o di fronte e segnano senza volerlo la nostra esistenza.
Un percorso d’esercizio letterario che, attraverso forme dinamiche di scrittura, elabora e modella la staticità riflessiva del dialogo muto, che anima lo sguardo incerto nello specchio della vita, per trasformarlo in monologhi condivisi con l’immagine vivace, severa e secolarizzata, racchiusa in una foto sulla mensola di casa.
(gelormini@affaritaliani.it)