Politici, i sottoquarantenni meridionali sono la risposta alla crisi.
È leggendo il diario di un viaggio in Argentina di Massimo Carlotto che rifletto sulla mia generazione. Lì, una dittatura nazista, feroce, appoggiata dagli Usa e dal Vaticano, cancellò di netto una generazione libertaria dalla faccia della terra, negando all’Argentina un futuro di democrazia e sviluppo e crescita. Qui, una democrazia malata che non di rado mostra il suo volto provinciale e violento, scava la fossa comune per la mia generazione.
Ed è anche apprendendo della nuova fuga di giovani dalla Puglia verso chissà dove che penso a me, a noi, a un noi che sopravvive appena. Nel corso dei decenni genitori come i miei hanno sognato un avvenire migliore per i propri figli: di prosperità, pace, serenità, benessere. Hanno adoperato il voto e il lavoro per dar concretezza a questi sogni e adesso se ne pentono. I miei genitori erano lontani dalla lotta armata, dalla chincaglieria bombarola, dalla logorrea sessantottina e settantasettina, dall’eroina e dall’abuso di retorica.
Erano solo degli italiani. Nello loro speranza piccolo borghese, il sogno aveva il sapore della meta e il colore dell’obiettivo. Ora si rendono conto di aver scoccato una freccia alla quale hanno spostato il bersaglio durante la corsa. Un inutile sforzo muscolare e di concentrazione. È accaduto che i sogni sono finiti negl’inceneritori della storia, complici soprattutto i politici, i finanzieri e la chiesa.
E noi, io, la mia generazione, ci troviamo armati di dialettica senza interlocutore, di coscienza senza avversario decente, di saperi senza un banco di prova. Quando ascolto la tensione tra sindacati e ministri, sorrido a pensare che non sarà certo il posto fisso o il prolungamento di un contratto capestro a far tornare indietro il bersaglio. La freccia è già caduta troppo in qua, smorzata nella sua corsa dal vento contrario dei poteri che non logorano mai chi li detiene.
Dalle banche arrivano segnali di chiusura, per noi sottoquarantenni. Dalla chiesa reprimende morali e stimoli alla riproduzione, manco fossimo conigli. Dalla politica l’ostracismo più imbecille e la retorica più vieta. Dal lavoro la svalutazione dei titoli e dei saperi, la negazione dello spirito. Cosa resta da fare? Partire? Per dove? Il mondo della crisi non offre grandi spiragli, semmai fratture. E infilarsi tra un osso e l’altro è cinico come mettersi a rapinar vecchiette.
L’incanto del viaggio, dell’emigrazione, della ricerca dell’America è bello che morto, caduto nel cesso della storia, sciacquato via dalla peggiore classe politica della storia repubblicana. Quindi ci è dovuto il futuro, non soltanto il presente. Capisca, la generazione che governa, che noi non chiediamo una cessione di sovranità, ma molto di più: un netto passo indietro, un taglio col presente, una cesura senza precedenti.
La sfiducia nei partiti e nella democrazia sono solo il sintomo di questa richiesta. In qualche misura ci sentiamo, noi sottoquarantenni e meridionali, molto vicini a quegli studenti tunisini che hanno preso a calci un dittatore, molto lontani da chi ha restaurato gli stati nel maghreb. Da questo malessere permanente esce un’ipotesi di proscenio permanente? I partiti non troveranno nelle urne una risposta, ma una domanda totale di democrazia e civiltà. La risposta siamo noi. Ascoltateci o non vi ascolteremo più. E il nostro vendicativo silenzio vi assorderà senza rimedio.