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Referendum, i Si e NO del Corriere: che cita Sartori e dimentica Romano

La storia dei referendum in Italia ha sempre rappresentato una sorta di croce e delizia, per gli effetti provocati sull’assetto socio-politico del Paese. Da quello più famoso sul cruciale passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, agli altri altrettanto noti relativi alla salvaguardia delle leggi su divorzio e aborto. Fino a quello più recente sul fallito tentativo di massiccia revisione costituzionale, che ha segnato il declino del governo Renzi.

Referendum 2020

Un utilizzo talvolta eccessivo, quello dello strumento referendario, che ha caratterizzato una stagione particolarmente vivace del Partito Radicale, a suo tempo guidato dal quartetto Pannella- Faccio-Bonino-Spadaccia, che non sempre ha reso un servizio ‘corroborante’ alla nazione: un esempio su tutti, l’abolizione del Ministero del Turismo in un Paese come l’Italia, con un patrimonio paesaggistico e storico-culturale unico al mondo, e la concentrazione più alta di siti Unesco.

Questa volta il referendum è confermativo e, in pratica, è il tentativo legittimamente promosso da circa 70 senatori per chiamare i cittadini ad esprimersi sull’approvazione del testo di legge costituzionale concernente "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019. Dopo i quattro passaggi parlamentari (due alla Camera e due al Senato), con maggioranze larghe e qualificate.

Referendum M5S

Le ragioni del SI e del NO sono da tempo al centro del dibattito sull’intervento di riduzione di 230 deputati e 115 senatori, da tempo clausola ripetuta nei vari disegni di modifica costituzionale promossi dalle diverse forze politiche, e perseguito - fino a farne una specie di vessillo programmatico - dal Movimento 5 Stelle, che più di altri ne ha spinto l’iter parlamentare.

Rappresentanza dei territori mortificata, risparmio minimo pari a un caffè all’anno per cittadino, attività parlamentare in pericoloso affanno, democrazia ridotta tra le ragioni di chi sostiene il NO, in una sorta di improvviso e forse tardivo risveglio da un letargo lungo tutto l’articolato iter di quadrupla approvazione, a larga maggioranza, tra i due rami del Parlamento.

enrico letta

“Voterò Sì convintamente - ha detto l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta - normalmente il dibattito spinge a votare in un modo o nell’altro a seconda delle conseguenze politiche. Io invece non ho mai guardato a questa parte della questione, a me interessa la sostanza, non chi l’ha proposta o se cade il governo. Se passa il Sì, si passa da 945 a 600 parlamentari. E tutte le nostre precedenti proposte in campo di riforme costituzionali prevedevano esattamente questa cosa”.

Dal suo osservatorio parigino, Letta ha fatto anche il confronto con il resto d’Europa: “Se noi passiamo a 600 parlamentari, avremo comunque un numero superiore agli altri Paesi, la Francia o la Spagna ad esempio”. E infine ha portato a sostegno della sua posizione la personale esperienza da deputato: “Ho sempre pensato che, per le attività che si svolgono alla Camera, 630 deputati sono troppi. 400 fanno benissimo il lavoro che la Camera deve svolgere”.

A tal proposito, Aurelio Valente - ex direttore della Banca d'Italia, consulente aziendale ed economista - ha scritto al Direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, e all’editorialista, Aldo Cazzullo, censurando il comportamento dei grandi quotidiani sulla comunicazione a senso unico per il NO al referendum. Sottolineando come, lo stesso Corriere, abbia deciso di riportare con grande rilevanza le considerazioni del politologo Giovanni Sartori - tratte da un libro del 1998 sulla composizione delle Camere - dimenticando o trascurando l'editoriale di Sergio Romano, pubblicato sul Corriere della Sera del 19 agosto 2011 dal titolo significativo: "Coraggio: dimezzate deputati e senatori".

Romano CdS bis
 

“Il vero problema è quello di una totale insensibilità di una larga parte del ceto politico per i sentimenti e gli umori del Paese”, scriveva l’ex ambasciatore Romano, auspicando una manovra democratica: “Coraggio dimezzate i deputati e i senatori: se la classe politica vuole dare un segno di attenzione per i malumori della società, le circostanze impongono misure più rapide e quindi un progetto di legge sottoscritto dal governo e da tutti quei settori della minoranza pronti ad approvarlo” (testo dell’editoriale riportato, ndr).

Romano Sergio

L’aspetto sconcertante di questa vicenda referendaria, però, resta l’ipotesi in prospettiva conseguente a un’eventuale affermazione del NO, dopo che per ben quattro passaggi parlamentari la larga maggioranza ha approvato la riduzione di deputati e senatori: la certificazione dello scollamento tra il sentire del popolo e quello dei suoi rappresentanti eletti.

In tal caso, all’indomani dell’ipotetica prevalenza dei NO, tutti i 945 parlamentari dovrebbero immediatamente dimettersi per evidente e sovrano conflitto istituzionale.

(gelormini@gmail.com)

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Pubblicato sul tema: Referendum confermativo sul taglio dei Parlamentari

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