A- A+
Roma
Il nipote di Selassiè condannato a 6 anni. La Svizzera lo rimanda a Roma

È stato condannato a 6 anni e all’espulsione dalla Svizzera per 10 anni, questa la sentenza emessa dal Tribunale penale di Lugano nei confronti di Giulio Bissiri, alias Makonnen Hailé Selassie, sedicente nipote dell’ultimo imperatore d’Etiopia nonché padre delle tre concorrenti della passata edizione di Grande Fratello Vip, Jessica, Lucrezia detta Lulù e Clarissa.

Bissiri che nel corso del processo iniziato mercoledì 28 settembre, si è dichiarato innocente, è stato condannato per “truffa di mestiere e falsità ripetuta in documenti” e di aver raggirato per circa 13 milioni di Franchi svizzeri, tre imprenditori del Canton Ticino, tra cui un ex banchiere.

La Corte d'Assise: ha costruito un palazzo reale delle menzogne"

Nella sentenza il presidente della Corte delle Assise Criminali, Amos Pagnamenta, ha evidenziato come “mattone dopo mattone Bissiri sia riuscito a costruire un palazzo reale delle menzogne”. Durante l’interrogatorio da parte del giudice Pagnamenta, è stato chiesto a Bissiri quali siano le sue origini. Il sedicente principe etiope, figlio invece di Beniamino Bissiri stalliere e cavallerizzo del Negus, richiamandosi a Totò, effettivamente nobile della famiglia Comnemo, ha ricordato la frase dell’attore napoletano: “Principe si nasce, principe si muore”, volendo con questo affermare di essere effettivamente discendente dell’ultimo imperatore d’Etiopia.

Il fantastico tesoro da 200 mln di Franchi

Secondo l’accusa Bissiri per convincere le sue vittime si presentava come principe etiope figlio del terzogenito dell’imperatore Hailé Selassie. E come tale, diceva di poter avere accesso ad un fantastico tesoro dell’imperatore d’Etiopia del valore di circa 200 miliardi di euro in titoli emessi in marchi tedeschi e dollari americani. Secondo Bissiri per poter incassare il denaro, sarebbero stati necessari milioni di euro di spese per gli avvocati e per le procedure di smobilizzo dei bond e così chiedeva soldi ad imprenditori che potevano finanziare l’iniziativa e che sarebbero stati ricompensati rendendoli partecipi nella spartizione del “malloppo”.

clarissa selassié instagram lulù selassiéClarissa SelassiéGuarda la gallery II

Col denaro incassato faceva una vita da nababbo

In realtà come ha evidenziato la sentenza di condanna, i soldi servivano non per ingaggiare team di avvocati e recuperare il tesoro ma per permettersi una vita da nababbo, senza fare nulla per incassare per davvero le cedole. La verità è che il tesoro potrebbe essere inesistente e per evitare che chi gli dava danaro facesse troppe domande o indagini, faceva firmare degli “impegni alla segretezza”, giustificando ciò con la necessità di tutelare il segreto di stato della Germania.

Anche i veri discendenti del Negus erano caduto nella trappola

Bissiri per certificare la sua origine nobiliare agli occhi degli “investitori” era riuscito persino a farsi firmare delle deleghe dai veri discendenti del Negus, convincendo anche loro dell’esistenza del fantastico deposito di cui nulla sapevano, a cui poter poi tutti attingere. Le indagini della procuratrice di Lugano, Chiara Borelli, sono durate circa un anno. Sono stati sentiti alcuni imprenditori italiani che hanno dato soldi a Bissiri. Tra coloro che sarebbero stati raggirati vi sarebbe il presidente della compagnia di assicurazioni navali la “Ital Brokers” di Genova, Franco Lazzarini, e persino la famiglia dell’ex ad delle Generali Giovanni Perissinotto nonché l’ex amministratore di Holiday Inn l’avvocato Roberto Tedeschi, la cui vicenda è stata resa pubblica dalla figlia Carlotta Tedeschi. Particolarmente toccante il racconto della Tedeschi, poiché a seguito delle dazioni di danaro fatte dal padre a Bissiri, e mai restituite, la famiglia alla morte del genitore, si era ritrovata in miseria e Carlotta a vivere per strada. Gli imprenditori italiani che avrebbero dato credito alla storia del tesoro, sarebbero decine, ma tutti hanno avuto paura a denunciare per il discredito che ne sarebbe derivato sia a loro che alle loro aziende.

Il "principe" potrebbe tornare a Roma nella casa di Campo de' Fiori

Un famoso imprenditore milanese, di cui si è parlato durante il processo, a causa dei soldi “investiti” nello smobilizzo dei bond tedeschi, ha perso addirittura l’azienda ma continua credere nel tesoro. Lui, Bissiri, oltre ad aver riaffermato di essere nobile nel suo interrogatorio ha ammesso di aver detto qualche bugia. “Da questa situazione - ha affermato Bissiri - ne esco con le ossa rotte. Le pubblicazioni su questa vicenda sono andate in tutto il mondo. Se Il mio agire ha causato dei danni, me ne scuso”. Ed ora cosa succederà? L’avvocato di Bissiri ha detto di voler fare appello. Nel frattempo, essendo stato espulso dalla Svizzera, il “principe” potrebbe già essere stato mandato dalla efficiente polizia elvetica, in Italia, a Roma, dove vivrà felice e beato in quel di Campo dei Fiori, magari firmando autografi. Conclusione degna di un racconto di Luigi Pirandello o di Andrea Camilleri che ricordiamolo scrisse “Il nipote del Negus”.

Iscriviti alla newsletter
Tags:
bissiriclarissa bissiricondannato bissirijessica bissirilulù bissirinipote negussvizzeraultimo imperatore etiopia






Roma omaggia Renato Balestra, al tramonto esplode la magia del Blu Balestra

Roma omaggia Renato Balestra, al tramonto esplode la magia del Blu Balestra


Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Angelo Maria Perrino - Reg. Trib. di Milano n° 210 dell'11 aprile 1996 - P.I. 11321290154

© 1996 - 2021 Uomini & Affari S.r.l. Tutti i diritti sono riservati

Per la tua pubblicità sul sito: Clicca qui

Contatti

Cookie Policy Privacy Policy

Cambia il consenso

Affaritaliani, prima di pubblicare foto, video o testi da internet, compie tutte le opportune verifiche al fine di accertarne il libero regime di circolazione e non violare i diritti di autore o altri diritti esclusivi di terzi. Per segnalare alla redazione eventuali errori nell'uso del materiale riservato, scriveteci a segnalafoto@affaritaliani.it: provvederemo prontamente alla rimozione del materiale lesivo di diritti di terzi.