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Roma
Roberto Benigni e la villa sull'Appia, il processo: “Mai fatti abusi edilizi”

“Non c'è stato alcun piano per compiere un abuso edilizio a Villa Appia delle Sirene”: lo hanno detto al tribunale monocratico, in udienza rigorosamente a porte chiuse per l'emergenza Covid, Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi, sentiti come parti offese nel processo che vede imputato per calunnia l'architetto Nicolino Di Battista, il professionista al quale nel 2006 la coppia aveva dato l'incarico di svolgere i lavori.

La vicenda risale al 2013, quando l’imputato “nell’ambito di un procedimento davanti al tribunale civile di Roma su ricorso della Braschi per l’esecuzione di accertamenti tecnici preventivi sull’immobile di sua proprietà, i cui lavori di ristrutturazione venivano a lui affidati in qualità di architetto, in una memoria incolpava, pur sapendoli innocenti”, la moglie di Benigni e "i funzionari comunali Luca Odevaine (nella veste di vicecapo di Gabinetto dell'allora sindaco Veltroni, ndr) e Massimo Miglio (quale capo dell'ufficio antiabusivismo del Campidoglio, ndr), di avere concorso in condotte illecite idonee ad integrare il reato di abuso edilizio”. Stando al capo di imputazione, Di Battista in quella memoria affermava “che la committente Braschi era pienamente consapevole delle difformità del progetto rispetto alla Dia” e che “anzi era stata lei stessa, su consiglio dei due funzionari comunali, a richiedergli la non menzione nel progetto dal allegare alla Dia degli interventi modificatori, per poi presentare tali modifiche solo in sede di sanatoria, e quindi a lavori già eseguiti”.

Affermazioni, quelle di Di Battista, diverse da “quanto affermato in una lettera inviata il 10 maggio del 2010 all’avvocato Michele Gentiloni Silveri (difensore dei due attori, ndr) in cui “espressamente si assumeva la piena responsabilità per i lavori edilizi posti in essere in difformità rispetto a quelli autorizzati dalla Pubblica amministrazione”. Da qui la contestazione del reato di calunnia da parte del pm Laura Condemi che ha chiesto il processo per l'architetto.

"Io sono un amico di vecchia data di Veltroni - ha detto Benigni - e mai mi sarei sognato di chiedergli un favore, tanto meno illecito. Quanto dichiarato dall'architetto al tribunale civile di Roma è una calunnia che deve essere punita con una condanna penale". Più articolata la deposizione di Nicoletta Braschi: "Odevaine e Miglio (anche loro persone offese, ndr) non sono mai venuti nella villa per il cantiere oggetto di processo. Sono venuti nel 2006, una prima volta per una denuncia di abusivismo fatta da mio marito contro il nostro vicino. E una seconda volta per un muro di confine che minacciava di crollare".

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