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Roma
Stadio As Roma, per il Comune si può fare: “Ma è la resa dell'Urbanistica”

di Andrea Catarci *

Lo stadio della Roma ottiene il nulla osta tecnico da parte dei dipartimenti capitolini che si occupano di urbanistica, mobilità e lavori pubblici, dopo otto anni, tre amministrazioni comunali, due progetti e decine di annunci. L’intero plico è stato consegnato alla Sindaca Raggi per essere portato prima in giunta e poi in Assemblea capitolina, con annessa garanzia dell’Avvocatura sulla regolarità e lo stato di avanzamento dell'iter.

Proprio tale relazione capovolgerebbe il parere del 2017 rimasto chiuso nei cassetti - in esso si escludeva che l’amministrazione dovesse risarcire in danno gli imprenditori in caso di stop - e metterebbe la parola fine alle discussioni sull’opportunità dell’operazione, sostenendo che Roma Capitale incorrerebbe in onerose somme da pagare a titolo di penali qualora decida di tornare indietro. Insomma, l’impianto si farà non perché sono state superare le problematiche sulle caratteristiche ambientali dell’area e la connessione con il tessuto cittadino ma perché a questo punto del procedimento l’epilogo è obbligatorio: è la resa definitiva dell’urbanistica, non una decisione nel suo ambito.

La storia del progetto dello stadio in breve

I primi passi avvengono tra la fine del 2011 e gli inizi del 2012, con la destra al governo, Gianni Alemanno Sindaco, Assessore all’urbanistica Marco Corsini e la squadra di calcio della città già nelle mani di James Pallotta, presidente tutt’altro che amato dalla tifoseria. Dopo l’incarico dato a una società specializzata si individua l’area di Tor di Valle e si formalizza il partenariato con il costruttore Luca Parnasi, proprietario dei terreni, con l’idea di realizzare l’impianto in 3-4 anni.

A partire dalla seconda metà del 2013, con il centro sinistra, Ignazio Marino Sindaco e Giovanni Caudo Assessore all’urbanistica, prende forma il progetto imponente con le due torri commerciali dell’archistar Daniel Libeskind, che l’anno successivo ottiene il riconoscimento del “pubblico interesse” per la quantità e la qualità delle opere destinate alla collettività, previste a carico della cordata imprenditoriale. Il 2015 è l’anno del master plan, della conclusione anticipata dell’era Marino e della nomina a commissario del prefetto Tronca, che blocca tutto e rimanda le decisioni a dopo le elezioni.

A giugno 2016 vince il M5S, diventa Sindaca Virginia Raggi e Assessore all'urbanistica Paolo Berdini. Crescono le perplessità sia sugli aspetti dimensionali che sull’area di Tor di Valle, per le problematiche ambientali e i rischi alluvionali. La nuova giunta si concentra sull’obiettivo legittimo di ridurre le volumetrie e vengono eliminate consistenti porzioni, in particolare le torri. Con il taglio delle cubature sono proporzionalmente ridotte anche le infrastrutture a carico dei proponenti, con il dettaglio assolutamente non trascurabile che intorno a esse era stata definita sia la fattibilità generale che la dichiarazione di interesse pubblico: si passa così da un progetto sovradimensionato ma equilibrato a uno con poca coerenza e dubbio interesse pubblico.

Nel 2017 si conclude la conferenza dei servizi con il parere “non favorevole” di Roma Capitale e Città Metropolitana, arrivano le dimissioni di Paolo Berdini e la sua sostituzione con Luca Montuori, la comparsa sulla scena dell’avvocato del M5s Luca Lanzalone, l’approvazione della delibera di giunta con cui si rinnova il pubblico interesse.

Nel 2018 esplodono le inchieste giudiziarie che coinvolgono tra gli altri Lanzalone e Parnasi, con vari filoni d’indagine intorno all’ipotesi di un giro di mazzette per facilitare la realizzazione dello stadio. Sono momenti di alta tensione, con l’espulsione dal gruppo M5s della consigliera Cristina Grancio e con la ferma contrarietà ad andare avanti confermata da importanti associazioni ambientaliste come Italia Nostra ma anche dal Tavolo della libera urbanistica, legato agli ambienti pentastellati. La Sindaca richiede alla macchina amministrativa di sottoporre a revisione l’intero iter. Ottiene una prima indicazione a proseguire nel progetto nei primi mesi del 2019, nello stesso periodo in cui il Politecnico di Torino segnala il rischio di “un’estrema congestione” e giudica insufficienti i vaghi impegni per il rafforzamento dei trasporti e dei collegamenti.

Si va avanti così fino a oggi, sempre nel segno della medesima contraddizione, con il nulla osta tecnico e l’epilogo obbligatorio indicato dall’Avvocatura a fare da contraltare ai punti interrogativi che restano numerosi sulle opere pubbliche, sugli aspetti ambientali, sul sistema di connessione urbana. Aspetti su cui la giunta Raggi non sembra intenzionata a fare chiarezza sostanziale, visto che le preoccupazioni di consiglieri e assessori si concentrano sulla correttezza formale del percorso compiuto.

Note a margine della vicenda

Il quadro delle politiche urbanistiche cittadine è a dir poco inconsistente, con la cultura privatistica che ha preso il sopravvento sulla città pubblica. Qualche schematica riflessione a margine della vicenda specifica può tornare utile, guardando al futuro, per cominciare a riguadagnare un approccio improntato alla programmazione e alla tutela dell’interesse della collettività.

L’area individuata non era sicuramente tra le più idonee, soprattutto per gli aspetti ambientali richiamati da associazioni e comitati, come segnalato a più riprese dall’ex Assessore Berdini e da altre voci critiche. Continuare a localizzare le operazioni sulla base della disponibilità dei terreni da parte delle cordate imprenditoriali - e non a partire dall’analisi del contesto cittadino - è una delle pessime abitudini che va definitivamente accantonata, poiché azzera in partenza la decisionalità pubblica.

L’intero apparato amministrativo è stato utilizzato per lavorare a questa grande opera - in aggiunta a consulenze, "due diligences" e altro – rendendo l’urbanistica poco più che monotematica per l’intera durata dell’attuale consiliatura. Nonostante ciò, il punto di equilibrio tra dimensionamento complessivo e opere pubbliche necessarie, che nella prima versione veniva garantito dall’imponenza delle volumetrie, non è stato più trovato. Ridurre le superfici e i volumi non può essere un ritornello vuoto e ritardare l’attuazione sine die non è mai una strategia istituzionale: si devono trovare competenza, coraggio e percorsi amministrativi idonei a ridurre il danno, qualora un progetto problematico non si possa più accantonare.

Il via libera all’approvazione del progetto sembra imminente. Non per questo l’attenzione deve diminuire. Nell’interesse generale va preteso il rispetto delle regole – compresi i vincoli legati al contesto - e la sottoscrizione di una convenzione che mantenga un punto di equilibrio tra esigenze pubbliche e private: in molte esperienze passate proprio le convenzioni hanno permesso alle cordate imprenditoriali di fare il bello e il cattivo tempo, modificando a loro vantaggio gli accordi originari nel tempo.

La trasparenza che la giunta Raggi si era impegnata a portare si è tradotta, all’opposto, in pratiche oscure e segrete. Dietro la propaganda si è nascosta la mancanza di una linea, promettendo operatività e miglioramenti che non sono arrivati, giocando con la realtà urbanistica e, insieme, con i sentimenti di una città da sempre legata alla sua squadra. Serve una chiara inversione di tendenza, con la determinazione a rendere pubbliche le modalità di scelta che stanno all’origine delle operazioni, nonché il quadro di vincoli in cui ci si muove e gli sforzi per ottenere miglioramenti per la collettività. Altrimenti continuerà ad alimentarsi la diffusa convinzione circa il servilismo delle amministrazioni verso i potentati economici.

Il polo democratico e progressista che si candida a governare Roma nel 2021 dovrà essere in grado di affrontare in profondità tali questioni, imparando dal passato e dal clamoroso fallimento registrato dalla giunta Raggi e dal M5s capitolino.

* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma

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