di Massimiliano Chiesa

Come ormai tutti saprete, mentre infuriava Sanremo anche da noi è finalmente giunto Spotify, ovvero il maggior servizio di streaming al mondo.
Il funzionamento è semplicissimo. Scarichi l'applicazione, la lanci e inizi ad ascoltare musica. La versione gratuita prevede che ci si debba sorbire un po' di pubblicità ma esistono anche versioni esenti da tale supplizio a fronte di un esborso più che accettabile.
Per quelli della mia generazione è l'ennesimo cambio epocale: vinile, cassetta, cd, mp3, iTunes. La sequenza è cronologica ma evidentemente ognuno di noi l'ha mischiata a piacimento nel tempo. Io, per esempio, non ho mai veramente amato i cd e, quando possibile, continuo a preferire un bel vinile gracchiante. Ma queste sono altre storie.
Quello che trovo più interessante è il radicale cambio di paradigma. Assenza di proprietà, condivisione, affinità.
La musica liquida, la musica che non c'è ma si ascolta in qualsiasi momento e posto. Beh, non esattamente in qualsiasi posto. Nel mio paese di montagna non prende manco il cellulare, figuriamoci ascoltare la musica in streaming.
L'intangibilitá delle cose sta prendendo il sopravvento. La proprietà pare essere passata di moda.
C'è il coworking, il bike sharing, il car pooling. Ormai è possibile vivere un'intera vita in affitto.
Anche l'ultimo baluardo pare aver ceduto. La casa di proprietá non è più esigenza fondamentale, visto che anche come investimento a lungo termine lascia a desiderare.
Insieme alla mancanza di proprietà del bene, altra caratteristica fondamentale è la condivisione. Se prima si condivideva ciò che si aveva, ora si condivide quello che altri mettono a disposizione. Il tutto ovviamente codificato e previa accettazione di regole.
Dimenticate quindi Shawn Fanning e il peer to peer selvaggio come prima forma di ribellione alle majors. E dimenticate pure Kim Dotcom furbo sostenitore della teoria Proudhoniana della proprietà privata come furto. Nel caso di Spotify ascolto musica non mia e la condivido con gli amici Facebook i quali, ovviamente, ricambieranno. E non so quante amicizie si potranno rompere scoprendo le altrui playlist.
E questo ci porta al concetto di affinitá, l'ingrediente fondamentale dei nostri tempi.
È il principio che sta alla base del suggerimento costante e continuo. Qualsiasi servizio online si basa sul principio del "se ti piace questo, allora ti piacerà...".
Qualsiasi commerce ti propone cosa comprare in base ai tuoi acquisti precedenti.
È il tramonto della serendipitá, della scelta casuale, del percorso ad minchiam.
Ad onor del vero, con me Spotify sta funzionando decisamente male ma forse dipende dalla mia schizofrenia musicale e dal fatto che le persone da cui accetto consigli musicali si contano sulle dita di una mano. O forse è solo che ci conosciamo da troppo poco tempo.
Però se mi continui a proporre pezzi oltre ogni tamarraggine, il sospetto che ci sia dietro una qualche attività promozionale mi viene.
Chiudo pensando a come sarebbe stata la mia cameretta senza dischi, a quanto sarei stato in difficoltà nel guardare negli occhi la ragazzina di turno senza poter mettere un disco nel piatto, a quanto tempo passato a mandare a memoria copertine e booklet dei 33 giri avrei potuto risparmiare.
Già, le copertine.
Perché continuano ad esistere nella forma che abbiamo sempre conosciuto?
Ecco di cosa si parla da queste parti la prossima volta.