Un'italianità sostenibile per rilanciare grande industria e Pmi

Di Emanuele Plata e Giovanbattista Testolin
In campagna elettorale Luca Cordero di Montezemolo e Alberto Bombassei hanno parlato di “asset” che in PLEF chiamiamo “intangibili” e li hanno considerati fondamentali per il rilancio dell'economia del paese. Hanno detto che oggi abbiamo 9.000 aziende esportatrici abituali e oltre 192.000 esportatrici occasionali e che ci sono tanti nuovi mercati che si possono aprire a delle tipologie di produzione che sono tipiche del nostro paese. Se solo riuscissimo a raggiungerli, a far diventare le 192.000 occasionali in esportatrici abituali…
Hanno detto che girando il paese ci si rende conto che abbiamo piccole e piccolissime imprese che sono delle eccellenze mondiali nel loro settore, in settori pressoché sconosciuti. Che ci sono ancora potenzialità nel nostro paese che non sono state ancora valorizzate. E che bisogna recuperare quello che rappresentiamo in termini di potenza industriale, in termini di eccellenza, di cultura, di storia, di capacità delle persone, tutti elementi che il modello di Economia sostenibile denominato “Consciousness Capitalism” dalla Planet Life Economy Foundation definisce come beni immateriali!
Hanno detto che bisogna fare delle assunzioni di responsabilità rispetto ad azionisti, collaboratori, clienti, territorio, fornitori. Hanno parlato di internazionalità. Che la fame di italianità nel mondo sta aumentando, perché aumentano i paesi ricchi che hanno bisogno della nostra cultura, delle nostre bellezze paesaggistiche, della nostra storia, e che una delle cose più belle e più invidiate che va sostenuta dell’Italia è l’artigianato. Nessun gruppo del lusso sopravviverebbe senza l’artigianato italiano: dobbiamo parlare, riconoscere, mappare il saper fare italiano.
In tutti i paesi che stanno crescendo per noi c’è un eccezionale dividendo da riscuotere nella globalizzazione, una grande fetta di business per le aziende che esportano, una grande fetta per il turismo che arriva e, auspicabilmente, anche per gli investimenti esteri nel mondo.
Abbiamo bisogno di un grande rilancio della cultura del lavoro, della cultura della produzione, del manifatturiero, che sono le nostre vere forze, ma questi processi vanno di pari passo con la conoscenza: la sfida dei prossimi anni sarà infatti sulla conoscenza.
E ancora: abbiamo bisogno di credibilità internazionale. L’opinione internazionale è fondamentale per un paese come il nostro che attrae turismo ed esporta merci: l'immagine tradizionale deve essere reputazione, deve divenire leva competitiva seria e attrattiva.
Se pensiamo che la prima voce di export dell’Italia verso il Giappone non è l’auto, non è la moda, non è il design, ma è la meccanica di precisione, capiamo che l'attitudine creativa italiana non è necessariamente disordinata ed estemporanea, ma anche rigorosa e sincrona. Il problema che viene sempre più riconosciuto al nostro paese consiste nella scarsa capacità di creare valore aggiunto abbinando tutti i tipi di eccellenze, dalla cucina al paesaggio, al clima e così via, fino alla tecnologia.
In questo periodo AssoretiPMI, associazione che favorisce lo sviluppo di reti di PMI, ha lanciato due workshop:
- Il primo sul tema del Marketing territoriale e delle Reti di imprese: verranno affrontati i temi della qualità ambientale, della Denominazione Ambiente Controllato (DAC) e della salvaguardia del territorio. I settori interessati vanno dall'agroalimentare al controllo delle acque, dalle lavorazioni industriali all'enogastronomia, considerando la qualità e la peculiarità dei prodotti tipici del territorio e l'attrattiva in termini di sviluppo turistico, poiché tutti questi settori sono tra di loro profondamente e inevitabilmente interconnessi. Il tutto declinato sotto le opportunità offerte in questo senso dalle Reti di Imprese per la valorizzazione del made in Italy.
- Il secondo incentrato sul settore Agroalimentare, che rappresenta il 15% del nostro PIL, e mirato ad approfondire le dinamiche di un settore strategico in una fase complessa dell'offerta agroalimentare made in Italy attraverso l'internazionalizzazione e lo sviluppo della competitività delle PMI.
Anche queste iniziative confermano l'orientamento verso la somma di eccellenze che, unite, aumentano il loro valore aggiunto, non grazie ad economie di scala, ma ad emersioni di valori immateriali, la conoscenza e le relazioni.
Riflessioni finali:
- I principi PLEF si stanno facendo strada sia nella grande industria che nelle PMI, oltre che nella società (Plef si è costituita dieci anni fa);
- I principi vengono avanti “dal piccolo al grande”: come per il modello PLEF, le PMI si aggregano per valorizzare i propri asset/territori;
- Il punto di partenza è pragmatico, è il raccordo col mercato (anche questo concetto risiede nel “core” del modello PLEF). Le imprese si muovono partendo dallo scopo di recuperare margini e volumi (e quindi valore aggiunto);
- I nuovi mercati possono accogliere con gran favore “l’italianità”, ma bisogna svilupparla e organizzarla per raggiungerli e farla conoscere;
- Le aziende non chiedono consulenza “sulla sostenibilità”, chiedono di essere aiutate a fare margini e volumi e la via pare essere quella proposta dal modello PLEF;
- Confidiamo che la nuova situazione parlamentare venuta fuori dalle urne non etichetti queste idee come per i soliti leader, ma le valuti per ciò che sono e cioè una verità e una opportunità tutta Italiana.