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Calcio in rosso: debiti e proprietà delle squadre che volevano la Superlega
Messi e Cristiano Ronaldo, amici e rivali: non si sfideranno in Superlega e, anzi, potrebbero entrambi cambiare squadra

Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutandeIl soffocamento in culla del progetto della Superlega certamente non elimina le ragioni profonde che stavano alla base del clamoroso “strappo” delle 12 società ribelli. Stiamo parlando di soldi, ovviamente, ma forse non dal punto di vista che molti pensano. Descritta come una grande opportunità di sviluppo del business calcistico, l’idea era in fondo un rimedio a una situazione debitoria decisamente preoccupante, specialmente se consideriamo il fatto che stiamo veramente parlando dell’eccellenza assoluta nello sport più popolare al mondo.

Negli ultimi vent’anni, infatti, la vituperata Champions League è sempre stata vinta da questo esclusivo club di ribelli, con due sole eccezioni: il sorprendente Porto di Mourinho nel 2004 e il tris del Bayern Monaco, unico club che per blasone avrebbe potuto stare nell’elite d’Europa e che invece ha da subito detto “nein” alla Superlega.

Sappiamo davvero tutto delle italiane che hanno aderito al progetto - Juve, Inter e Milan – ma chi sono i proprietari delle altre fondatrici della Superlega? E come stanno economicamente? Fare i conti in tasca a questi Superclub è stato davvero interessante, ecco cosa è venuto fuori:

Manchester United
Nel 2003 il magnate americano Malcom Glazer è entrato nella proprietà, inizialmente con un ruolo residuale. Quando poi ne ha acquisito la maggioranza, nel 2005, la ribellione è stata tale che un gruppo di dissidenti ha dato vita a una squadra alternativa: l’F.C. United of Manchester, partito dalle serie inferiori e che nel suo statuto ha proprio l’opposizione al moderno calcio-business. Nel 2010 la contestazione è arrivata al punto di esibire i colori sociali originali: il giallo-verde dei progenitori del Newton Heath, accompagnati dallo slogan “Green and gold til the club is sold”, cioè "verde e oro fino a quando il club non sarà venduto". Ma non è successo: oltre dieci anni dopo, lo United è ancora saldamente nelle mani degli eredi di Glazer, morto nel 2014, anche se parte delle azioni dal 2012 sono state collocate alla Borsa di New York. I “Red Devils” sono la squadra più titolata del ricchissimo calcio inglese e il quarto club più ricco al mondo, con un valore di 4,2 miliardi di dollari. Tuttavia, hanno un indebitamento di 524,4 milioni di euro. La figuraccia planetaria rimediata con la Superlega ha portato alle dimissioni del vicepresidente Ed Woodward.

Chelsea
Il club londinese è additato da molti appassionati come uno dei principali protagonisti della deriva commerciale del calcio moderno. Le sue sorti sono infatti mutate in modo radicale a partire dal 2003, quando la proprietà è stata acquisita dal controverso milionario russo Roman Abramovich. Facendo incetta di supercampioni, il club che fino ad allora aveva vinto poco ha messo in bacheca una Champions League, due Europa League, cinque titoli della Premier League, cinque Coppe d’Inghilterra e altre cinque coppe nazionali minori. È settimo nella classifica dei club più ricchi del mondo ed è anche l’unico tra quelli inglesi a non avere il bilancio in rosso, soprattutto grazie a una serie di plusvalenze che hanno ampiamente compensato la riduzione del fatturato. Le sorti del club sono comunque interamente nelle mani di Abramovich, verso il quale i “Blues” hanno un debito pari a 1,4 milioni di sterline.

Arsenal
Per i “Gunners” l’ingresso nel nuovo millennio ha coinciso con un radicale allontamento dalla tradizione del calcio inglese, a favore di una logica prettamente commerciale. Il segno più evidente di questa tendenza è stato l’abbattimento del mitico stadio di Highbury, per traslocare nel nuovo Emirates Stadium a partire dal 2006. Tra i registi dell’operazione c’era Ivan Gazidis, oggi nel board del Milan che, guarda caso, ha un piano decisamente simile. L’anno seguente è cominciata la battaglia per il controllo del club tra il russo Alisher Usmanov e l’americano Stan Kroenke: quest’ultimo ne è uscito vincitore e oggi è l’azionista di riferimento dei “Gunners”, con quote superiori al 90%. La sua ascesa è andata di pari passo con la politica avallata e messa in atto da Arsène Wenger, allenatore (e manager in senso più ampio) dell’Arsenal per la bellezza di 22 anni, dal 1996 al 2018. Proprio per rimettere in ordine i conti della società e far fronte all’indebitamento necessario per costruire il nuovo stadio, Wenger ha esasperato la sua filosofia basata sui giovani da valorizzare, a dispetto dei campioni già affermati, ma più costosi. Tuttavia, i risultati non hanno ripagato la scelta: nel 2018 il tecnico francese è stato costretto a cambiare aria dopo la dura campagna “Wenger out” organizzata dai tifosi e anche Kroenke viene messo in discussione per i pochi trofei messi in bacheca. Ottavo tra i club più ricchi del mondo, l’Arsenal ha un rosso di bilancio di 76,8 milioni di euro. Il miliardario svedese Daniel Ek, fondatore di Spotify, si è fatto avanti per comprarlo.

Tottenham Hotspurs
Sebbene Forbes ne stimi il valore in 2,3 miliardi di dollari (più della Juve, ferma a 1,95), è la società messa peggio, tra le fondatrici della Superlega. Sulla sua testa pesano infatti i 1.500 milioni di euro di debiti sottoscritti per la costruzione del nuovo White Hart Lane, il terzo stadio più capiente del Regno Unito, del quale gli “Spurs” però non sono ancora riusciti a vendere i naming rights. Per questo il precoce affossamento del progetto-Superlega pesa soprattutto sul club controllato da ENIC International Ltd, fondo di investimento di proprietà di Joe Lewis e Daniel Levy, quest’ultimo presidente del club. A differenza di altri tycoon del calcio inglese, però, il legame con la squadra non è solo economico: Levy, di religione ebraica, è da sempre tifoso del Tottenham, squadra che tradizionalmente rappresenta la comunità ebraica di Londra.

Manchester City
Sesto club più ricco al mondo, con un valore di 4 miliardi di dollari, ha un indebitamento pari a quasi 52 milioni di euro. Tuttavia, la sua situazione preoccupa decisamente meno rispetto a quella di altri club europei, viste le enormi risorse delle quali gode la sua proprietà. Dal 2008, infatti, i “Citizens” appartengono all’Abu Dhabi United Group, che fa capo allo sceicco Mansour e alla famiglia reale. Alla presidenza del club c’è Khaldoon Al Mubarak, uno dei consiglieri più stimati dagli emiri, che da quando controllano il club ne hanno fatto una forza dominante del calcio inglese. La Champions League, però, è ancora un sogno proibito e forse anche per questo sono stati i primi tra i club inglesi a chiamarsi fuori dal progetto-Superlega. 

Liverpool
Autentica leggenda del calcio mondiale, i “Reds” sono il quarto club più ricco del mondo. Kpmg non ne può stimare l’indebitamento, perché i dati non sono ancora stati resi noti, ma la società è considerata solida, anche perché ha il buon senso di vendere giocatori a peso d’oro, oltre che acquistarli. Proprio per questo nell’aprile 2020 fece scalpore la decisione di mettere tutti i dipendenti in cassa integrazione, a causa della pandemia di Covid-19. La reazione fu tale che i “Reds” dovettero tornare rapidamente sui propri passi, un po’ come sarebbe accaduto dodici mesi dopo con la Superlega! Dal 2010 il club appartiene al Fenway Sports Group, società americana che controlla anche i Boston Red Sox di baseball e che ha comprato i “Reds” quando si trovavano in una situazione finanziaria molto critica.

Barcellona
Per Forbes è il club più ricco del mondo, con un valore pari a 4,76 miliardi di dollari. Ma anche i debiti sono pazzeschi: ben 1.173 milioni di euro! D’altra parte, la gestione dei catalani negli ultimi anni è stata tutt’altro che limpida, come dimostra il Barça-Gate: l’ex presidente Josep Maria Bartolomeu è stato arrestato in un’inchiesta che vede coinvolti anche altri dirigenti, con contestazioni di reati che comprendono il "falso in amministrazione e corruzione". Si parla anche di manovre atte a screditare esponenti del club, tra cui Lionel Messi… che infatti la scorsa estate ha fatto di tutto per andarsene dalla squadra con cui è diventato il numero uno al mondo. La proprietà dei club è in capo ai suoi 140.000 soci, che eleggono il presidente: lo scorso 7 marzo l’assemblea ha dato fiducia a Joan Laporta per un secondo ciclo alla guida del club, dopo quello supervincente del 2003/2010. Per centrare altri successi, il Barça punta con forza sul norvegese Erving Haaland. Con quali soldi? Venderanno alcuni dei loro gioielli? Mistero.

Real Madrid
Il club più titolato al mondo è anche il secondo più ricco, con un valore di 4,75 miliardi di dollari, a brevissima distanza dai rivali storici del Barcellona. Elevatissima, anche se inferiore a quella dei catalani, l’esposizione debitoria, pari a 170 milioni di euro. Il suo vulcanico presidente Florentino Perez ha già dimostrato in molte occasioni di saper creare ricchezza anche nelle situazioni più difficili. Con la Superlega ha però fatto un clamoroso buco nell’acqua. Perez dal 2009 sta conducendo il suo secondo ciclo alla guida del Real. Il primo fu quello dal 2000 al 2006, quando convinse i soci del club a eleggerlo con la promessa – poi mantenuta – di strappare Luis Figo ai rivali del Barça.

Atletico Madrid
La seconda squadra di Madrid fatica un po’ a reggere il confronto con le altre fondatrici della Superlega. Non è tra i primi dieci club del mondo (si colloca al 13° posto) e ha 111 milioni di euro di debiti. Sul piano sportivo, negli ultimi anni ha fatto parlare di se’ per la vittoria di Europa League e Supercoppa Europea nel 2018, oltre alle due finali di Champions League perse, entrambe nel derby contro il Real! Un’altra curiosità storica è che nel 1974 l’Atletico vinse la Coppa Intercontinentale, unico caso nella storia di squadra campione del mondo senza essere prima campione continentale: aveva perso la finale di Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco, che poi aveva rinunciato alla sfida con i campioni sudamericani dell’Independiente Avellaneda. La maggioranza del club appartiene dal 1993 all’imprenditore sportivo Miguel Ángel Gil Marín.

Fonti: 
Dati sull’indebitamento: Kpmg Football Benchmark
Dati sul valore dei club: Forbes

 

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