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Costume
Coronavirus, quarantena in coppia? Si può imparare l’alfabeto dell’amore

Di Maria Martello*

Virus affettivo o virtus affettiva?

In un prezioso passaggio del film di I. Bergman "Scene di vita coniugale", Giovanni, rivolgendosi alla propria moglie, da cui si è separato, afferma:

"Ti dirò una cosa banale. In materia di sentimenti noi siamo degli analfabeti. E il fatto più triste è che ciò riguarda non solo te e me, ma quasi tutte le persone. Noi impariamo ogni cosa intorno al corpo umano, intorno al­l’agricoltura nel Sud Africa, intorno al pi greco o come diavolo si chiama, ma neanche una parola intorno al­l’anima".

Quando non si conosce l’alfabeto dell’amore e, col passare degli anni, il balbettio dei primi tempi si è trasformato via via in un dialogo insulso, stare “vicini vicini” come vuole la quarantena, mentre il cuore vuole essere altrove, è faticoso e pericoloso. Aumenta lo stress, abbassa le difese immunitarie e anche le possibilità di un futuro della relazione di coppia.

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La questione è urgente: infatti se non impariamo subito da questo impasse, che è come una terapia d’urto, qualcosa sull’amore non potremmo davvero cambiare nulla dopo. Ci ritroveremo dopo il coronavirus a ricostruire la situazione economica con le macerie della famiglia!

Sarebbe davvero un costo insostenibile per il singolo e per l’umanità tutta.

Molti in questi giorni ci dicono: facciamo di questo momento un’opportunità, prendiamo in mano le nostre vite per farne dei capolavori.

Bene, si può fare: il lavoro fuori è fermo o quasi, lasciamo che quello dentro ferva! Non tanto dentro la casa quanto dentro noi stessi. Nel silenzio del nostro cuore.

Proviamo a porci qualche domanda.  Tutti. Ognuno per conto suo ma con la sicurezza di non restare solo. Sono domande che non si esauriscono con risposte immediate, di superficie: meglio tenerle aperte.

Come può essere intimo un rapporto quando il mantra di fondo è: tu non mi piaci, io non ti piaccio?

E allora che fare? Sono sbagliato io? E’ sbagliato l’altro?

O è sbagliato l’atteggiamento del guardare, scrutare, stigmatizzare, giudicare, negare l’altro?

Certo che il partner ha dei limiti. Non lo si è creduto solo nei giorni dell’innamoramento, quando peraltro gli si proiettava il bello assoluto che la propria mente immaginava. Ciò che faceva piacere.

I limiti li ho anch’io e vi assicuro che non ho per niente voglia di qualcuno che, come un accanito rabdomante, me li segnali ad ogni piè sospinto.

Vorrei semmai che chi mi sta accanto fisicamente mi aiutasse ad amplificare le cose positive che so esprimere. Così da invaderne le mie relazioni. Così da rendere residuale lo spazio che lascio ai miei limiti: ecco un modo costruttivo per superarli, svuotarli di peso, renderli meno dannosi.

E se invece fossimo noi per primi ad aver paura dell’altro, della intimità e mettiamo barriere?

Se fossimo noi poco veri con lui, poco nudi e riceviamo altrettanto?

In fondo in fondo forse ci sentiamo, arbitrariamente migliori e cerchiamo, di cambiarlo? O ci sentiamo inferiori e per nasconderlo prevarichiamo?

Queste convinzioni sotterranee potrebbero essere il frutto malato di un pensiero sbagliato!

Potrebbero aver autorizzato la competizione al posto della cooperazione, dello scambio, del rispetto, dell’ascolto dell’altro.

Di conseguenza, sistematicamente e pervicacemente iniziamo a diventare per il partner istruttori, consiglieri, maestri, genitori.

Inoltre, circondati da limiti fisici, le pareti della nostra casa, la tentazione del giudizio monta e la maggior parte dei conflitti è uno scontro tra giudizi.

Il problema non sarebbe il confronto, anche quando animato, ma il fatto che si confligge in modo distruttivo fino alla via di non ritorno.

Giudichiamo sempre, e lo facciamo in modo apparentemente, solo apparentemente, generoso e oblativo. Di fatto supponente, arrogante, pretestuoso, spesso violento.

Sempre inutile.

L’altro non cambia, non è sbagliato. E’ diverso e un mistero. Può aprirsi a dimensioni del vivere più ricche di affettività se vede che questo scalda il suo cuore. Certo resiste ad azioni di potere, di controllo. Al tentativo di modalità coercitive.

Ognuno prima di ogni altra cosa vuole realizzare se stesso, e vivere a pieno la sua libertà. Se scopre che il rapporto di intimità lo rende possibile e pieno, ecco che vi investe. Ecco che vi si compromette.

Ancora una domanda: dietro alle nostre reazioni verso i comportamenti di chi ci sta vicino si cela l’insoddisfazione verso noi stessi? L’altro ha solo la funzione di farci da specchio.  Invece che litigare e prendercela con lui è più serio e utile che ci occupiamo seriamente di dare risposte al nostro malessere.

Per la prima volta, o ancora una volta ma in modo nuovo, investiamo in questa direzione!

Non siamo, nessuno, né vittime di uno stile relazionale asfittico, né votati al martirio. Tutti meritiamo di star bene, di essere felici. Dobbiamo impegnarci per esserlo! Questo il nostro compito. La nostra responsabilità.

Lo si impara. Amare e relazionarsi sono cose serie. Delicate. Richiedono competenze che nessuno ha mai educato. Ora la situazione ci scoppia tra le mani. Vogliamo prepararci a raccogliere, alla fine del coronavirus, i cocci anche della sfera affettiva e familiare?

Questo tempo è prezioso per sanare il piano dei rapporti umani e così trovarci più forti presto, appena usciremo dall’emergenza del virus e dobbiamo avere la forza di sanare i buchi economici e sociali.

* Ha ideato un modello umanistico-filosofico di mediazione dei conflitti, ha insegnato "Psicologia dei rapporti interpersonali" presso l’Università Cà Foscari, Giudice onorario, autrice tra gli altri del volume “La formazione del mediatore” (ed. Utet) e di “Mediatore di successo” (ed. Giuffrè)

maria.martello@tiscali.it 

 

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