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Costume
Coronavirus, quarantena in coppia o da single? Domande che fanno la differenza

Di Maria Martello*

Stare agli “arresti domiciliari” crea disagio. Possiamo ben capire che quando si è in tanti nello stesso spazio non si abbia la giusta distanza: che è vitale anche con chi è di famiglia!

E che non è correlata solo con i metri quadrati ma con la natura del rapporto, con la sua qualità, con il livello di affettività e di intesa, con la serena organizzazione dei tempi e degli spazi.

Vivere la quarantena in un appartamento ampio e bello non determina infatti la qualità di una convivenza forzata come quella che stiamo vivendo. La qualità della relazione mai è determinata dal contesto esteriore ma dalle condizioni interiori per esempio dall’equilibrio tra momenti di condivisione ed altri di isolamento. Equilibrio che spesso salta con la perdita della pace e del piacere di stare in famiglia.

E’ “conveniente” intervenire per aggiustare, ove occorre, e migliorare il “clima” relazionale. E’ un dovere per sé e per chi ci sta accanto.

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Può aiutarci a trovare la necessaria determinazione e forza per farlo, soffermarci prima su un pensiero apparentemente altro: come sta chi è a casa solo?

Certo, non litiga con alcuno. Forse litiga con la sua paura, amplificata dalla solitudine.

Che domande si pone? Se sto male, chi mi nutre? Chi mi aiuterà nei bisogni primari? Chi mi procura e somministra le medicine? Chi mi conforta e mi rassicura?

Se riusciamo, mettiamoci nei panni di chi queste, ed altre domande, realisticamente, se le pone.

Forse comprendiamo un po’ quanto dell’altro abbiamo bisogno e quanto sia prezioso averlo.

E chiediamoci anche: quando l’abbiamo, che responsabilità dobbiamo saper gestire per mantenere rapporti di armonia, di reciprocità, di felice scambio?

Ci sembra che tutto ciò debba venire automaticamente. Invece la parola responsabilità rimanda ad altre parole (dimenticate?), quale la sensibilità, l’attenzione, la delicatezza, la creatività, la fantasia, la generosità. Mi accorgo di aver fatto un elenco, incompleto, fatto di sostantivi tutti di genere femminile… Ma questo non significa che sono qualità per alcuni, (per femminucce?), a parte la grammatica italiana, sono parole che indicano valori universali, del genere umano, qualunque sia il sesso, e devono fecondare ogni rapporto interpersonale. Di cui tutti abbiamo bisogno. Che tutti dobbiamo cominciare a dare per primi!

Facciamo allora un bilancio del nostro rapporto con il partner: che cosa siamo disposti a cedere perché ne abbiamo visto la dannosità? Siamo pronti a riconoscere all’altro il suo valore, le sue bellezze, le preziosità che ha? Siamo pronti a riconoscergli la fiducia che occorre per consegnargli le nostre paure, i nostri progetti? A condividere con lui i nostri desideri sentendo che insieme meglio si possono perseguire?

Siamo convinti di quanto sia improduttivo puntare il dito contro l’altro e vogliamo provare a sperimentare gli effetti benefici, oltre l’atteso, che possono avere gesti di cooperazione?

Diceva un mio professore di ginnasio a noi allevi alle prese con le formule di matematica: “Giovanotti, voi volete fare uscire l’asino con la coda!” Ancora da adulti continuiamo a volere ciò che non sappiamo ottenere, perché non lo cerchiamo nel modo giusto!

Spero quindi ci serva ora, in questo tempo apparentemente vuoto, un altro detto popolare: “si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un litro di aceto”. Dove il miele sta per competenze relazionali che si costruiscono piano piano ed anche una buona lettura può risvegliare.

Ma che cosa sappiamo dell’amore?

Sappiamo che possiamo chiedere perdono per tutte le “bellezze” (non solo di immagine e di facciata esteriore) che non sappiamo apprezzare, riconoscere e rimandare all’altro?

Sappiamo che possiamo ringraziare per la sua presenza l’altro: dono che la vita ci fa fatto già per il solo suo esserci?

E non dimentichiamo il dono raro del silenzio e dell’ascolto.         

Oggi, più di qualche anno fa, il silenzio per i più giovani è uno spazio vuoto che, spesso, angoscia e va riempito il prima possibile. Che si tratti di ascolto o di attesa della parola, stare zitti è diventato più difficile per i ragazzi, soprattutto in prossimità dell’adolescenza. In tempi di isolamento da coronavirus, in cui il frastuono delle classi, il suono della campanella, il vociare delle aule, è stato bruscamente sostituito dai silenzi delle case, la richiesta di contatto, di relazione umana è soprattutto richiesta di parola. Gli alunni lamentano la noia, come il male peggiore di questo isolamento inaspettato, una noia che raccontano non solo come mancanza di attività all’esterno, ma come mancanza di contatti con gli amici, oltre che di quelle voci indistinte della città, che adesso mancano.

La pandemia ci ha imposto un silenzio collettivo che deve diventare un’occasione per riprendere l’esercizio all’ascolto, ma anche per trovare dentro di sé parole nuove o dare alle parole nuove sfumature di significato. Questo i più giovani lo sentono, quasi per la prima volta: lontani da relazioni dirette, se non quelle del nucleo familiare, rischiano di potenziare quelle virtuali, che tolgono spesso la parola o la sostituiscono con quella breve, essenziale delle chat, dei social. Non sappiamo ancora quali cambiamenti questa epidemia ci porterà, allo stato attuale, sembra ci stia portando a forme di socialità “più ridotte”, ma forse, più ricche e concentrate in cui il rapporto tra parola e silenzio possono trovare nuovi equilibri, all’insegna della capacità di ascolto e di riflessione.

* Formatrice alla Mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico da lei ideato, ha insegnato Psicologia dei rapporti interpersonali presso l’Università Cà Foscari, già Giudice on. Presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, autrice tra gli altri del volume “La formazione del mediatore” (ed. Utet) e “Mediatore di successo” (ed. Giuffrè)

maria.martello@tiscali.it 

 

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