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Economia
Il triste declino dell'altra ex-Ilva: così Novi Ligure si spegne
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Ex-Ilva di Novi Ligure: il declino della siderurgia nel Nord-Ovest

"L'ex Ilva di Novi Ligure, un tempo orgoglio dell'industria siderurgica italiana, è inesorabilmente sull'orlo del collasso", afferma Moreno Vacchina, un veterano dell'azinda che è lì dal 1996. "Un tempo, lavoravamo per giganti come Mercedes e Ford, ma ora non siamo nemmeno in grado di produrre barili per l'olio." Lo racconta La Stampa. Ricorda il sindaco di Novi Ligure, Rocchino Muliere, i giorni passati in cui le persone facevano fila per ottenere un lavoro all'Ilva, considerandolo un impiego garantito per tutta la vita. Oggi, purtroppo, da queste fabbriche si sta assistendo a una fuga inarrestabile. Marco Ginanneschi, che ha trascorso 33 anni di servizio all'interno di questo gigantesco stabilimento, afferma amaramente: "Ora queste fabbriche sono diventate rifugi per anziani come me, per persone che non sanno dove andare."

La crisi sta travolgendo l'industria dell'acciaio in Piemonte, provocando una diffusa rassegnazione. Questa situazione coinvolge tre province: Alessandria, Cuneo e Vercelli, con Novi Ligure come epicentro principale e i satelliti di Racconigi e Gattinara, oltre a numerose piccole e medie imprese legate all'indotto e ai servizi. In totale, quasi mille lavoratori diretti sono coinvolti, con un impatto pesante sulla filiera in entrambe le regioni. Ciò che rende questa crisi particolarmente inusuale è che il mercato dell'acciaio sta vivendo un periodo di crescita, specialmente in tempi di guerra. Il Piemonte è noto per la sua competenza nell'industria dell'acciaio, con fabbriche moderne e operai altamente specializzati. Tuttavia, l'origine e, forse, la fine di questa crisi risiedono a Taranto, il simbolo di una tragedia ambientale e industriale.

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Ad esempio, a Novi Ligure, si tratta di rifinire l'acciaio grezzo proveniente dalla Puglia per produrre lastre principalmente destinate all'industria automobilistica. Nel giro di poco più di un anno, i 700 dipendenti sono diventati 590, con la maggior parte delle uscite che sono state dimissioni volontarie. Gli ordini non mancano, ma Taranto non fornisce l'acciaio necessario, portando alla perdita di quasi tutti i clienti. Gli accordi prevedevano la lavorazione di un milione e mezzo di tonnellate di acciaio all'anno, ma si prevede che il 2023 si chiuderà a soli 500 mila tonnellate.

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A Racconigi, nel Cuneese, il numero di dipendenti è sceso da 150 a poco meno di cento. La fabbrica produce tubi, ma la mancanza di acciaio da Taranto ha portato a una significativa perdita di quote di mercato, e la produzione è notevolmente rallentata. Oltre agli stabilimenti direttamente coinvolti, c'è un vasto settore indotto che si è sviluppato nel corso dei decenni attorno all'Ilva. Tuttavia, ora rischia di essere travolto dalla crisi. A Gattinara, Vercelli, c'è la Sanac, leader nella produzione di materiali refrattari, utilizzati per resistere a temperature estreme. L'80% delle loro commesse proveniva dall'Ilva, e ora, con la fabbrica in difficoltà, la produzione è drasticamente ridotta. Anche le forniture e la manutenzione sono state interrotte, mettendo in pericolo la sicurezza dei lavoratori.

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Questa crisi ha provocato un esodo di massa tra i lavoratori, che stanno cercando opportunità altrove, anche se ciò significa abbandonare la propria specializzazione. I salari sono diminuiti drasticamente, con alcune persone che guadagnano solo mille euro al mese. Il sindaco di Novi Ligure, Rocchino Muliere, è estremamente preoccupato per il futuro delle fabbriche e della comunità. Si chiede se il Piemonte sarà parte della soluzione nazionale per rilanciare il settore siderurgico o se sarà necessario trovare una via alternativa. L'assessora regionale al Lavoro, Elena Chiorino, ha sottolineato l'importanza di esplorare canali alternativi, ma ha anche confermato che il governo sta lavorando intensamente per il rilancio del settore a livello nazionale. Tuttavia, per molti lavoratori e comunità coinvolte, il futuro rimane incerto e preoccupante.
 

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