Safilo gioca la carta dell'Est. Cura Hal su debito e costi che la Borsa snobba
Safilo non recupera terreno in Borsa, dopo 8 anni di ristrutturazione il debito è calato, ma vendite e utili non decollano. La storia di un big del Nordest
Il gruppo Safilo, nome storico dell’occhialeria del triveneto fondato da Guglielmo Tabacchi a Calalzo di Cadore nel 1934 e poi passati nel 2009 sotto il controllo del fondo olandese Hal (socio di maggioranza relativa col 41,69% del capitale, mentre i Tabacchi ormai sono scesi al 9,1%), ha annunciato lo sbarco in Bielorussia e Kazakistan, mercati ritenuti “ad alto potenziale di crescita” come l’intera Europa centro- orientale, costituenti “uno degli obiettivi fondamentali del piano strategico al 020 dell’azienda”.
Un piano che mira ad espandere la rete commerciale di Safilo, facendola salire a 40 Paesi nel mondo, facendo leva su un portafoglio di marchi che copre cinque segmenti di mercato: “Atelier” (i prodotti di fascia più elevata), con Elie Saab; “Fashion Luxury”, con marchi come Dior, Fendi, Jimmy Choo, Givenchy, Ce’line, Boss, Max Mara e Pierre Cardin; “Lifestyle”, con Carrera, Marc Jacobs, Juicy Couture, Fossil, e Kate Spade; “Masscool” (segmento per il mass market, in forte crescita), con Polaroid e Havaianas. Il mercato per ora non reagisce, dopo che il gruppo guidato da Luisa Delgado, ha archiviato un secondo trimestre con ricavi in calo del 9,8% a cambi correnti, a 315,3 milioni di euro (anche a causa della cessazione della licenza Gucci a fine 2016), ed un Ebitda rettificato in crescita del 2,9% a 34 milioni.
Ma quanto è diversa l’attuale Safilo da quella che, nel 2009, Vittorio Tabacchi dovette accettare di vendere ad Hal, richiamando per di più l’ex amministratore delegato Roberto Vedovotto, allontanato dallo stesso Tabacchi dopo la prima ristrutturazione del 2002-2006 che aveva riportato la società in borsa (dove già era stata quotata tra il 1987 e il 2000) e poi passato alla rivale Kering nel 2013? Nel 2008 le vendite nette di Safilo erano risultate pari a 1,148 miliardi di euro, calate a 1,011 miliardi l’anno seguente, mentre l’Ebitda era già in calo a 126 milioni contro i 175 del 2007 (scese poi a 58 milioni, ovvero 66 milioni non tenendo conto di oneri non ricorrenti, nel 2009). Il risultato netto, dopo i fasti del 2006-2007 (chiusi rispettivamente con 38 e 51 milioni di utile netto) era già calato a 23 milioni di perdita e peggiorò nettamente nel 2009 (351 milioni di perdita) per oneri connessi all’avvio della nuova ristrutturazione.
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