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“Cuori in piena”, romanzo formazione nella cornice dell’Appennino. Recensione

Dopo Tetano, è ancora Pieve Lanterna il paesino dell’Appennino umbro-marchigiano che lo scrittore Alessio Torino, non a caso originario di Cagli, sceglie come ambientazione per il suo nuovo romanzo Cuori in piena. Torna anche Corsi il Giovane – figlio di Sebastiano – protagonista in prima persona della storia, stavolta intrappolato tra la leggiadria dell’amore e il peso di una morte improvvisa. Il libro è edito da Mondadori.

Alessio Torino conosce bene i luoghi in cui ancora una volta ambienta le proprie storie, perché è originario di Cagli, paesino che – come Pieve Lanterna – si trova nell’Appennino umbro-marchigiano: è l’emblema della provincia immersa nella natura, fatta di riti semplici, che si contrappone alla grande città, Roma, dove Sebastiano Corsi ha deciso di trasferirsi molti anni prima. A raccontare le vicende in prima persona, con gli occhi del bambino che sta per diventare adolescente, è suo figlio, da tutti chiamato Corsi il Giovane (con qualche variante come teppista o fregno, espressioni utilizzate dalla gente di paese). Su di lui saprà già qualcosa chi ha letto Tetano, romanzo di Torino dapprima pubblicato con Minimum Fax e poi passato a Mondadori; è sempre Mondadori a pubblicare ora il suo nuovo libro Cuori in piena, dopo che l’autore si è fatto conoscere sulla scena nazionale vincendo alcuni premi.

Si tratta di un romanzo di formazione dal ritmo placido, che richiama le atmosfere di Fabio Genovesi, Cosimo Calamini e tutta quella generazione (i nati nel 1975 circa) che nelle proprie opere ama ricordare con una nota nostalgica i tempi della gioventù. Si nota infatti, tornando indietro nel tempo a Pieve Lanterna insieme a Corsi, quanto fosse facile divertirsi con poco: dai bagni nel fiume alle gite in bicicletta, dagli autoscontri al calcinculo, dalla focaccia calda ai fuochi d’artificio di fine estate, ricordando una semplicità che oggi sembra sfuggire alle nuove generazioni; peraltro, a ben vedere essa nascondeva una profondità d’animo e di pensiero forse a rischio nella società in cui i nostri ragazzi si trovano a crescere.

Corsi, Achille Spada e Giorgio Angradi sono i figli di un gruppetto di ex amici per la pelle in parte allontanati dagli eventi della vita; specialmente Sebastiano, che trasferendosi nella capitale e aprendosi a nuove esperienze ha conquistato un’ampiezza di vedute, modificando di conseguenza il rapporto con gli ex compagni di scuola. “Era proprio questo che mio padre non sopportava. Quel radicarsi in una sedia del bar che diventava l’unico punto di osservazione del mondo, quell’arringare che lui considerava l’assurda saccenza di persone che si smarrivano a Termini come bambini nel bosco delle favole”. Ne detesta, più di ogni altra cosa, la facilità di giudizio e la propensione al pregiudizio, specialmente quando si tratta di aiutare l’elemento debole della comunità. Arcangelo Gori è l’unico a non prendere mai parte alle riunioni di adulti durante le rimpatriate tra genitori e figli, perché il suo, di figlio, non c’è più. Andrea Gori è morto appena un anno prima tuffandosi alle Caldare, all’apparenza un paradiso naturale, che tuttavia può celare imprevisti e pericoli. In qualche modo Andrea è rimasto sotto, risucchiato dalla piena del fiume, incapace di risalire nonostante i suoi sforzi e gli sguardi sbigottiti di chi era presente. Un ragazzo non ancora adolescente scomparso così, in un attimo, lasciandosi dietro un padre disperato, al limite della pazzia.

Stando alla solidarietà di paese, chi subisce un lutto simile dovrebbe essere aiutato e protetto da tutti; invece, talvolta a prendere il sopravvento sono la paura, la superstizione, l’orrore, non soltanto nei confronti degli atteggiamenti più o meno strani che Arcangelo mostra, ma soprattutto di fronte al dolore nudo e crudo, nonché al toccare con mano quanto l’essere umano non sia in grado di controllare gli eventi, potendo ritrovarsi a perdere tutto in un istante. Questo gli amici di Corsi padre non lo accettano e in parte trasmettono la propria presa di posizione – che arriva a sfociare nell’arroganza e, procedendo nella lettura, persino nella cattiveria – anche ai figli. “Sì, però lo sapeva della piena”. “Quel coglione”. “Cosa ti devo dire teppista. Quando tocca, tocca (…). Ma a voi teppisti non tocca”. Come a volersi tranquillizzare da soli raccontandosi che in fondo se l’era meritato, o quantomeno se l’era andata a cercare. Di certo, una cosa del genere a loro e ai loro figli non capiterebbe mai. Questo, almeno, è facile credere.

Cuori in piena
 

Così, se da una parte il romanzo si sofferma con dovizia di dettagli e ripetizione di giornate quasi uguali – come realmente doveva essere nelle estati degli anni Ottanta a Pieve Lanterna – sulla tranquilla monotonia di tre ragazzi presi dai turbamenti tipici di quell’età, dall’altra è anche il tipico periodo di formazione, quando crescere significa avere la forza di mettere in dubbio ciò che fino ad allora è stato indiscutibile. Una parabola di presa di coscienza e consapevolezza che inizia con le affermazioni degli amici, per arrivare infine al confronto con il proprio padre: per chiunque, il vero momento di distacco dall’età dell’infanzia avviene infatti quando per la prima volta ci si rende conto che i genitori, fino a quel momento percepiti come semi-dei immuni da cadute, errori e fragilità, in realtà possono sbagliare come tutti gli altri. A quel punto, non resta che andare fino in fondo e scoprire chi era davvero, e chi è ancora oggi, quel padre o quella madre che eravamo così convinti di conoscere, scoperchiando verità forse spiacevoli, ma necessarie per diventare adulti. È proprio questa la parte più interessante di Cuori in piena: il confronto generazionale che, senza mai porre in dubbio l’amore, mette però in discussione tutto il resto, lasciando infine un inevitabile amaro in bocca quando l’eroe torna ad essere soltanto un uomo.

Tra le avventure del giovane Corsi con le prime cotte nei confronti della belga Céline, la promessa di non tuffarsi alle Caldare e di conseguenza i mille sotterfugi escogitati per evitare quel luogo senza smascherarsi con gli amici, le dolci coccole della nonna che spesso assumono la forma di dolci appena sfornati e marmellate di stagione, la bellezza selvaggia e pura di una provincia che ha molto da offrire rispetto alla città, se solo si è in grado di assaporarne i doni, prende forma anche il dramma personale di Arcangelo Gori, il quale si intreccia alla storia di Corsi grazie all’amicizia di Arcacciolo con il padre del protagonista. A tratti il romanzo accoglie quindi i toni del mistero e del giallo, specie quando viene uccisa brutalmente con la metaldeide Asha, la cagnolina degli Angradi: come è prevedibile, la comunità intera si scaglia contro l’incontrollabile Gori, senza riuscire a vedere o a capire chi realmente egli sia e cosa si stia contorcendo dentro la sua anima. Investigatori improvvisati, i padri dei suoi amici si muovono tra il ridicolo e l’avventuriero per prendere con le mani in pasta il temuto avversario, “pericolo” delle montagne. Solo i loro figli saranno in grado, con non poca capacità di discernimento, di staccarsi dai pregiudizi per mettere in dubbio i fatti, analizzarli con più cura, senza comunque riuscire a stanare il vero colpevole. Lo scopriremo soltanto alla fine del romanzo, quando Corsi – ormai cresciuto – tornerà in paese in occasione della morte del padre.

Cuori in piena è quindi un romanzo che si muove su più linee parallele, incrociando senza dubbio la nostra esperienza personale, specie per chi ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza negli anni Ottanta e Novanta: è l’epoca delle discriminazioni razziali contro gli zingari e del fascino per le giovani straniere approdate magicamente in paese, dei pomeriggi infiniti ad assaporare la libertà scoprendo scenari naturali sempre nuovi e soprattutto delle prime vere amicizie, quelle che nascono in giovane età e spesso durano per il resto della vita, nonostante questa ci porti a volte ad imboccare strade molto diverse tra loro. Eppure, in qualche modo il legame resta, fino alla morte.   

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